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Monte Pellegrino: a muntagna ra Santuzza!
 
Foto di Montepellegrino e panorami da Montepellegrino
Monte Pellegrino (wikipedia) Santa Rosalia
 
Montepellegrino visto da Via Messina Marine
 
Santa Rosalia
La Vita
 

   Rosalia nacque a Palermo nel XII secolo dalla famiglia Sinibaldi, nobili della corte reale normanna e feudatari nella Madonie dei monti della Quisquinia e delle Rose.

   La tradizione orale racconta che Rosalia visse a Palermo alla corte della regina Margherita, moglie di Guglielmo I di Sicilia. Fin dalla sua giovinezza decide di consacrarsi a Gesù Crocifisso scegliendo la penitenza eremitica e si ritirò seguendo l'esempio degli antichi anacoreti sul monte Pellegrino, avuto in dono dalla regina. Nell’ottobre del 1623 Palermo è infestata dalla peste; una donna moribonda, dopo aver ricevuto i sacramenti, durante la notte, sogna una giovane fanciulla che la invita a recarsi in pellegrinaggio alla grotta ove morì la santa.

   La mattina successiva la donna si sveglia completamente guarita. Il 26 maggio del 1624 si reca insieme ad altre alla grotta. Dopo aver pregato nella chiesetta dei frati, la donna si assopisce e ritorna la visione della fanciulla che le indica il punto dove Rosalia fu sepolta. Il 15 luglio 1624 quando vengono riportati alla luce i resti vergine eremita e vengono consegnati al cardinale Doria, Arcivescovo di Palermo, il quale nomina una commissione per esaminare i resti. Lo stesso anno durante i lavori di costruzione del convento domenicano di santo Stefano di Quisquina, sempre sul monte Pellegrino, fu scoperta in un'iscrizione latina riportante il testo: "Io Rosalia Sinibaldi, figlia delle rose del Signore, per amore del mio signore Gesù Cristo ho deciso di abitare in questo antro di Quisquina".

   Nel frattempo la peste dilagava per Palermo e dintorni. E' il 16 febbraio del 1625 quando la santa appare in visione ad un cacciatore, un certo Bonelli, e lo invita ad andare dalle autorità ecclesiastiche e riferire che la peste sarebbe cessata solamente portando le sue reliquie in processione attraverso la città. Il cardinale Doria, sollecitato dalla popolazione, autorizzò la processione al termine della quale la città si ritrova miracolosamente liberata dalla peste, grazie all’intercessione della "santuzza", come i palermitani chiamano affettuosamente santa Rosalia.

   Nel frattempo, conclusi gli atti del processo di ritrovamento e attestata l’autenticità dei resti e delle numerose grazie ricevute per sua intercessione, il cardinale Doria invia gli atti a papa Urbano VIII, il quale, dopo il regolare processo, ne sancisce la veridicità facendo inserire nel martirologio il ricordo della santa, il 4 settembre e il 15 luglio, giorno di ritrovamento delle reliquie. A Palermo la santa è festeggiata dal 10 al 15 di luglio in tutta la città con innumerevoli momenti che mettono in evidenza la liberazione della città dalla peste, la festa si conclude con la solenne processione per la vie della città della preziosissima urna argentea contenente le reliquie della amata "santuzza".

 

 

Riserva Naturale di Monte Pellegrino

Tratto da Guida alle riserve naturali della provincia di Palermo ( edizioni arbor)

   Singolari sono gli aspetti di macchia con Euphorbia dendroides che include la maggior parte delle specie caratteristiche della macchia mediterranea.

   Sono state catalogate 134 grotte di interesse speleologico, paleontologico e paletnologico.

   Montepellegrino è anche un'arca di notevole interesse ornitologico per lo studio delle migrazioni e per la presenza di specie svernanti come la Pispola, la Passera scopaiola e molte specie nidificanti nella macchia fra cui la Sterpazzolina.

   Fra le riserve della provincia di Palermo quella di Monte Pellegrino è certamente la più facilmente fruibile. Diverse sono le vie di accesso all'area protetta sia in auto (via Regina Margherita e via Bonanno) che a piedi (Valle del Porco, Favorita, Scala Vecchia, Piazza Cascino). Inoltre l'ente gestore, assieme all'Amministrazione provinciale, ha realizzato due nuovi sentieri che permettono di raggiungere luoghi di suggestiva bellezza. Ambedue si dipartono dalle scuderie reali. Il primo, molto facile, percorribile senza difficoltà anche da anziani e bambini, si snoda per 3,5 km quasi a ridosso del monte, dal lato della Favorita. L'altro, lungo 1,5 km, difficile perché tutto in salita, attraversa lo splendido Vallone del Porco sino a raggiungere il Santuario di Santa Rosalia. Va anche segnalato un altro sentiero, di carattere prevalentemente archeologico, certamente non meno interessante.

   Oltre che per gli aspetti paesaggistici e la presenza di piante ed animali di particolare interesse, come vedremo in seguito, quest’ambiente, per la sua particolare morfologia e la, vicinanza alla città, vanta numerosi riconoscimenti internazionali in campo speleologico e alpinistico. Decine di gruppi di rocciatori, speleologi e semplici escursionisti, approfittando della mitezza del clima, non perdono occasione per effettuare escursioni, visite delle grotte o arrampicato in parete.

   Meta di letterati e naturalisti, Monte Pellegrino e il Parco della Favorita vantano radici, tradizioni ed interessi scientifici antichissimi. Basta un semplice sguardo alle numerose carte topografiche storiche ed alle pubblicazioni di insigni studiosi (Giacomo Cascino, 1651; Marchese di Villabianca, 1750; Abate Scinà, 1818; Carlo De Stefani, 1920) per rendersi conto di come lo stesso nome del Monte sia stato oggetto di discussione. Epiercta, Erkte, Erta e poi Peregrinus, Pelerino, Pellegrinu sono alcuni dei nomi cui si riferiscono molti storici per indicare il Monte.

   L'elemento più caratteristico, legato al Monte, è sicuramente il Santuario dedicato a Rosalia Sinibaldi, secondo la leggenda nobile discendente di Carlo Magno, morta da eremita il 4 settembre 1160 all'età di 33 anni. Come è noto, qui furono rinvenute le ossa della santa nel 1624; il loro trasporto in città avrebbe fatto cessare la terribile pestilenza che affliggeva la popolazione e da allora la "Santuzza", come la chiamano i palermitani, divenne la patrona della città.

   L'idea di realizzare in quest'area un grande parco nacque alla fine del XVIII sec., quando Ferdinando 111 di Borbone, con un editto reale, espropriò 400 ettari comprendenti parte del Monte, della Favorita ed i pantani di Mondello. Il modello di parco di quell'epoca non era certo uguale e neppure simile a quello di oggi. Le finalità di tale intervento, infatti, non erano indirizzate alla salvaguardia della natura, ma alla sperimentazione agricola e alla realizzazione di una riserva di caccia. Cominciò, quindi, ad essere modificato l'assetto vegetazionale esistente nel Parco della Favorita con l'impianto di colture arboree ed arbustive e frammentari nuclei di bosco di tipo mediterraneo, che ancora oggi ritroviamo in piccoli e degradati lembi.

   Prima di allora l'aspetto di Monte Pellegrino venne descritto da Wolfgang Goethe nel 1787, il quale in alcune pagine del suo "Viaggio in Italia", oltre a definire il Monte come "Il più bel promontorio del mondo", rileva come: "Le sue rocce sono completamente nude, né alberi né cespugli vi crescono; appena coperte d'erbetta e di muschio sono le poche parti pianeggianti".

   Monte Pellegrino, infatti, che in epoca storica doveva essere verosimilmente caratterizzato in larga misura dalla macchia e dalla foresta mediterranea, nel corso dei secoli è stato privato della sua vegetazione legnosa e così, spoglio e brullo, si è mantenuto fino agli inizi di questo secolo.

   Oggi il Monte si presenta con una diversa copertura vegetale, essendo rivestito da un diffuso e talora discontinuo manto arboreo, in massima parte costituito da elementi estranei alla naturale flora locale.

   L'epoca dei primi interventi di rimboschimento risale alla fine del 1800, quando già le uniche forme di vegetazione legnosa presenti erano limitate a piccoli lembi di bosco, distribuiti alle falde del Monte, lungo il versante prospiciente il Parco della Favorita, e a pochi ed isolati individui di Leccio, Carrubo e Olivastro, confinati in punti inaccessibili.

   La maggior parte della superficie di questa riserva è oggi occupata da popolamenti e formazioni forestali caratterizzati dal Pino domestico, dal Pino d'Aleppo e da eucalipti intercalati spesso a cipressi (Cupressus sempervirens, Cupressus macrocarpa). Nei primi impianti furono utilizzate specie presenti in natura all'interno dell'area - Leccio, Olivastro, Carrubo e Orniello - ma, negli interventi successivi, a causa del fallimento dei tentativi di forestazione con le specie autoctone, si ripiegò sulle tradizionali specie esotiche forestali alle quali si aggiunsero l'Albero di Giuda e la Robinia. Nel periodo compreso tra le due grandi guerre, i rimboschimenti furono effettuati con altre essenze quali l'Agave, il Fico d'India e, soprattutto, pini ed eucalipti le cui formazioni sono maggiormente localizzate alle falde del Monte, in prossimità del Gorgo di Santa Rosalia ed all'Addaura, nella fascia prossima ai complessi residenziali. Il sottobosco molto rado è formato dal Lentisco, dalla Fillirea, dall'Euforbia arborescente, dall'Olivastro, oltre che da individui isolati di Leccio allo stato di arbusto. Popolamenti con presenza di sole specie del genere Pinus si riscontrano soprattutto su una vasta superficie alle spalle del Santuario. Anche qui il Lentisco e l'Alatemo sono ben rappresentati, mentre lo strato erbaceo, nel periodo invernale, viene fisionomizzato quasi sempre dalla vistosa fioritura dell'esotica ed invasiva Acetosella.

   Le formazioni più diffuse sono quelle miste di pini, eucalipti e cipressi ed interessano vaste superfici spesso interrotte da aspetti steppici e di gariga. Il nucleo più consistente si rinviene subito dopo il Santuario di Santa Rosalia, nella parte meridionale dell'area, in prossimità di Pizzo Grattarola e lungo i toccanti della strada che dalla Fiera del Mediterraneo conduce al Santuario.

   L'area di Monte Pellegrino è caratterizzata da un'ampia varietà di ambienti, alcuni dei quali presentano un elevato grado di naturalità, soprattutto lungo le aspre ed assolate scarpate rocciose dove trova rifugio un ricco contingente di specie rare e di particolare interesse fitogeografico. Uno specifico studio condotto di recente, sia per la componente crittogamica che per quella vascolare, ha evidenziato come la fitodiversità di quest'area sia molto significativa rispetto alla sua limitata estensione.

   La flora crittogamica, sia per la parte briofitica che lichenica e micologica, si presenta molto varia. La prima risulta costituita da circa 80 entità, tra cui emergono alcuni elementi a distribuzione puntiforme nel Mediterraneo occidentale, mentre la componente lichenica finora censita è rappresentata da oltre 80 elementi, di cui alcuni noti, in Sicilia, soltanto per Monte Pellegrino. Della componente micologica, limitata ai macromiceti, sono sinora conosciuti una cinquantina di specie, di cui ben 15 note in Sicilia, soltanto in questo promontorio.

   La componente vascolare, di contro, annovera oltre 700 entità fra le quali figura un cospicuo contingente rappresentativo dell'endemismo siciliano,oltre a rari elementi a distribuzione frammentaria lungo le coste del Mediterraneo. Fra le specie di particolare interesse emerge un ricco contingente tipico delle rupi. Questi habitat costituiscono stazioni rifugio ricche ed espressive ed ospitano una flora peculiare, con numerose specie endemiche e di notevole interesse botanico. Tra queste, solo per citarne alcune, assumono particolare importanza il Fiordaliso di Ucria, i Perpetuini delle scogliere, il Cavolo rupestre, la Stellina di Sicilia e la Perlina di Boccone. Tra gli altri esempi di endemismo - relativo a specie a più ampia distribuzione centromediterranea - si ricordano ancora l'Iberide florida, la Finocchiella di Boccone, l'Erba perla mediterranea e la Bocca di Leone siciliana.

   Un altro caso di endemismo peculiare è rappresentato dall'Euforbia di Bivona, specie a distribuzione circoscritta alla parte nord-occidentale della Sicilia. Un altro gruppo di piante endemiche si rinvengono nelle praterie steppiche diffuse negli spazi e nelle radure del promontorio lasciati liberi dai rimboschimenti. Fra le bulbose si ricordano lo Zafferano autunnale, l'Ofride a mezza luna, l'Orchide di Branciforti e, fra le altre specie, la Lingua di cane siciliana e la Speronella emarginata. Negli stessi ambiti ricorrono altre specie rare in Sicilia quali l'Ambrosinia di Bassi e il Giuggiolo selvatico. Va ancora segnalato il caso del Limonio di Boccone, interessante specie con areale limitato al tratto costiero della Sicilia nord-occidentale e ad alcune isole circumsiciliane, che nel Monte vive relegato lungo la scogliera dell'Addaura, in stretti spazi circoscritti, e la Viperina costiera, specie rara in Sicilia, presente lungo l'unica spiaggia della riserva, presso l'abitato di Vergine Maria.

   La vegetazione arborea naturale è rappresentata da boschi termofili mediterranei caratterizzati dal Leccio, che si rinvengono discontinuamente all'interno del Parco della Favorita e sui versanti settentrionali, orientali e occidentali del promontorio, in stazioni riparate, spesso ombreggiate e soggette a particolari condizioni microclimatiche. Le formazioni ubicate nei versanti dell'Addaura e della Montagnola alla zona sottostante la Perciata, a quote comprese tra gli 80 ed i 300 m, sono quelle più vaste e meglio conservate. Con un corteggio fioristico meno ricco, si presentano, rispettivamente, il nucleo che si trova alla base del Pizzo Volo d'aquila, quello insediato nel Vallone del Porco ed i nuclei che insistono sul Parco della Favorita. Questi boschi presentano aspetti con dominanza del Leccio e dell'Omiello, cui si aggiungono esemplari di Carrubo e occasionalmente anche di Bagolaro. Il sottobosco è costituito prevalentemente dal Terebinto, dal Biancospino comune ' dall'Alatemo e dall'Olivastro con sporadiche presenze del Vibumo e dell'Alloro, oltre che del Rovo comune, della Salsapariglia nostrana e della Clematide cirrosa che rendono spesso impenetrabile questa vegetazione. In altri ambiti, particolare rilevanza e frequenza manifestano la Fillirea, l'Alatemo e, in alcuni tratti, il Mirto.

   Aspetti di vegetazione fruticosa sono ben rappresentati in tutta l'area e si riscontrano discontinuamente dalle quote prossime al livello dei mare fino a quelle più alte, soprattutto sui fianchi del Monte non interessati dalle opere di rimboschimento. Questi arbusteti costituiscono i resti di antiche cenosi boschive. Gran parte degli elementi che li costituiscono sono sempreverdi, a portamento cespuglioso, con apparato radicale molto profondo e caratterizzati da una spiccata resistenza all'aridità e all'insolazione prolungata. In questo tipo di vegetazione è possibile osservare comunità dominate dall'Omiello e dal Sommacco e una macchia con preponderanza di Olivastro ed Euforbia arborescente, nell'ambito della quale svolge un importante ruolo l'Euforbia di Bivona. In alcuni tratti gli arbusteti vengono compenetrati dalla prateria steppica dominata dal Penniseto allungato. Quest'ultima specie segnalata per la prima volta in Sicilia proprio a Monte Pellegrino - è una graminacea esotica ad habitus cespitoso, originaria dei Paesi della fascia tropicale e temperato-calda. Si tratta di una avventizia, in continua e prorompente espansione, che ha trovato negli ambienti caldi e secchi sublitoranei del palermitano ideali condizioni di vita e che nel giro di circa 40 anni dal suo primo insediamento si è ormai naturalizzata, costituendo una grave minaccia per gli equilibri fitocenotici dell'area. Esempi di questo tipo trovano ampia diffusione lungo i versanti esposti a sud ed ovest ed, in particolare, nel tratto che dalle Rocce dello Schiavo conduce fino al castello Utveggio e che si affaccia sul Viale Diana e sulla Via Imperatore Federico.

   Nelle parti più calde dei versanti costieri si è invece diffusa una vegetazione steppica dominata dal Barboncino mediterraneo. t da rilevare come a questa specie si associno spesso delle piante endemiche come il Barboncino palermitano e il Panico rupestre. A queste ultime bisogna aggiungere anche la Nappola perenne, nota nell'Isola, oltre che per Monte Pellegrino, per Taormina e Capo Sant'Alessio. Questo tipo di vegetazione è facilmente osservabile lungo la costa Finocchiaro dove si rinvengono vaste aree denudate, caratterizzate da estesi affioramenti rocciosi, utilizzati da secoli per il pascolo. Su queste superfici - poco declivi ed in parte al riparo dall'erosione - è diffusa una comunità di tipo subnitrofilo. La vegetazione viene qui dominata dalla presenza dell'Asfodelo, della Ferula e da diverse composite spinose quali il Carciofo selvatico, la Cardogna maggiore, la Carlina siciliana, il Zafferanone selvatico ed altre ancora. Frequente in tutte le tipologie vegetazionali è anche l'Ampelodesma, specie che, con il suo apparato radicale, svolge un ruolo di rilievo nella stabilizzazione dei versanti.

   La riserva possiede una elevata "diversità" ambientale. Le differenti tipologie vegetazionali riscontrate, sia a carattere naturale o seminaturale, sia di tipo artificiale, come le colture arboree, insieme alla particolare geomorfologia del monte, caratteristica per le pareti rocciose e per i versanti con esposizione differente, non potevano non influire sulla varietà delle comunità faunistiche, determinandone un'altrettanta diversità a vantaggio dei delicati equilibri ecologici caratteristici di ogni biotopo. Favoriti anche dalla vicinanza di quest'area al centro abitato di Palermo, numerosissime sono le informazioni che riguardano la fauna vertebrata ed invertebrata di questo ambiente, grazie ai diversi studi già realizzati, alcuni dei quali risalgono al secolo scorso, e ad altri effettuati recentemente ed ancora in corso.

   L'avifauna comprende con certezza 41 specie nidificanti, distribuite sul territorio in maniera differente in relazione alle proprie necessità ecologiche e che corrispondono a più di un terzo delle specie di uccelli legate all'ambiente terrestre che popolano la Sicilia. Tra queste vanno ricordate il Fanello, piccolo passeriforme abbastanza elusivo, che negli agrumeti del Parco della Favorita ha raggiunto la più alta densità riscontrata in Italia, ed il comunissimo Merlo. Tipici dei rimboschimenti, sia del Parco che del Monte, sono un gruppo di fringillidi come il Verdone, il Verzellino ed il Fringuello, le cui reali abbondanze possono essere valutate dai tipici canti primaverili e le cui presenze nel secolo scorso erano date per molto scarse, ma giustificate dall'assenza dei rimboschimenti.

   Comuni nella macchia mediterranea sono invece la Capinera, l'Occhiocotto, lo Scricciolo e la Sterpazzolina, piccoli uccelletti difficili da scorgere perché nascosti tra la fitta vegetazione, sempre alla ricerca di insetti o bacche di cui cibarsi.

   Ma le specie più interessanti sono sicuramente quelle legate alle pareti del monte che ospitano rapaci diurni come il Falco pellegrino, la Poiana ed il Gheppio, e rapaci notturni come il Barbagianni e l'Allocco. Queste specie sono la testimonianza della presenza di catene alimentari stabili e collaudate.

   Tra i passeriformi nidificanti, nell'ambiente rupicolo, oltre ad una piccola colonia di Taccole, ritornata recentemente sulla parete del monte, dentro il Parco della Favorita e prospiciente la zona militare, meritano di essere ricordati il Corvo imperiale, dal piumaggio nero lucido, il Passero solitario, la Passera lagia e il Rondone maggiore. Quest'ultima, specie considerata in Sicilia molto localizzata, differisce dal comune Rondone, oltre che per le maggiori dimensioni anche per il colore bianco della pancia. là facile osservarli dal belvedere nei mesi tardo estivi in cima al Monte mentre sfrecciano in piccoli gruppi.

   La presenza del bosco orinai divenuto adulto ha fatto aggiungere alla lista degli uccelli nidificanti anche il Colombaccio ed il Crociere. Per quest'ultima specie, il cui nome deriva dal caratteristico becco incrociato, adatto ad aprire le pigne per mangiarne i semi, Monte Pellegrino rappresenta una delle tre esclusive aree siciliane di riproduzione.

   Durante la migrazione autunnale e primaverile, numerose sono le specie di uccelli che seguendo la propria rotta passano quasi obbligatoriamente da questa riserva. Storica è la migrazione delle Quaglie, che il naturalista Pietro Doderlein descrive in maniera molto accurata, ma anche la migrazione di Tortore e di rapaci come il Falco pecchiaiolo e il Nibbio bruno, nonché di Gru e Cicogne. Numerose sono anche gli uccelli che trascorrono l'intero inverno all'interno dell'area protetta, quali lo Storno comune, la Passera scopaiola, la Ballerina bianca, il Pettirosso ed il Lui piccolo.

   Un possibile itinerario per il birdwatching, cioè l'osservazione di questa grande varietà di uccelli, è quello che partendo dalla Scala Vecchia, alla base del Monte, attraversa la maggior parte degli habitat. Arrivati in cima si potrebbe ridiscendere percorrendo il Vallone del Porco giungendo così all'interno del Parco della Favorita. Da pochi anni è tornata la Volpe, che sfrutta anche i rifiuti abbandonati dei numerosi gitanti, e sulla quale, con l'ausilio dell'ente gestore, si sta conducendo una ricerca sulle abitudini, utilizzando la tecnica della radiotelemetria, cioè l'applicazione di radiocollari che permettono di registrare e seguisse i movimenti a distanza. Comune anche la Donnola, piccolo mustelide, che preda qualche uccelletto, ma prevalentemente piccoli mammiferi come l'Arvicola del Savi.

   Quest'ultimo è un piccolo roditore, difficile da scorgere per la vita sotterranea che normalmente conduce, sempre alla ricerca di radici da rosicchiare, ma la cui presenza è testimoniata dai numerosi fori circolari presenti sul terreno e che costituiscono le entrate delle diverse gallerie da esso scavate per raggiungere la propria tana. Abbastanza diffuso, grazie anche al divieto di caccia introdotto prima ancora che la riserva fosse istituita, è il Coniglio selvatico.

   Anche i rettili sono ben rappresentati all'intemo dell'area protetta. Fra i più comuni ci sono sicuramente la Lucertola campestre, la Lucertola siciliana, quest'ultima endemica della Sicilia, il Biacco ed il Gongilo. Monte Pellegrino ospita inoltre quasi tutte le specie di anfibi note per la Sicilia, fra cui il Discoglosso dipinto, anche questa specie endemica siciliana, ed una numerosa popolazione di Rospo verde o smeraldino.

   Non meno interessante l'entomofauna, molto studiata e che comprende specie endemiche o ad areale ristretto, alcune delle quali sono state descritte su esemplari raccolti proprio sul monte (locus typicus).

   Vale la pena segnalare la presenza di un piccolo coleottero endemico della nostra Isola, il Pachypus caesus, la cui particolare biologia riproduttiva è stata studiata anche su una popolazione presente all'interno del Parco della Favorita. Il maschio vola in autunno alla ricerca della femmina che invece ha abitudini esclusivamente ipogee e raggiunge la superficie soltanto nel periodo della riproduzione.

   D'imponente mole, il rilievo carbonatico di Monte Pellegrino si sviluppa per circa 6 km in direzione nord-nord-ovest e sud-sud-est, con una altitudine massima di 600 m. Morfologicamente è contraddistinto, tranne che in limitati tratti, da ripide falesie, per cui non esistono che limitate vie d'accesso in cima.

   Schematizzando al massimo il complicato assetto stratigrafico, è possibile riconoscere in affioramento tre differenti serie, stabilite in base all'età dei fossili ivi rinvenuti e che abbracciano complessivamente un arco temporale che va dal Trias superiore all'Eocene. Alla prima serie appartengono le rocce presenti lungo la costa nord-est e nelle pareti est del monte (rispettivamente in prossimità di Punta Priola-Torre Rotolo e nella parete a Monte dell'abitato di Vergine Maria-Pizzo Monaco), costituite da calcari dolomitici e dolomie del Trias superiore-Lias inferiore.

   Alla seconda serie appartengono le rocce che occupano il settore meridionale di fronte all'abitato di Palermo. Si tratta di una successione, dell'ordine di 600 m, di calcari dolomitici, bioclastiti e calcari marnosi fossiliferi, complessivamente relativi ad un arco di tempo che va dal Lias inferiore-medio sino al Cretaceo inferiore.

   La terza serie di terreni più rappresentativi, in quanto relativi alla maggior parte degli affioramenti presenti al Monte Pellegrino (Bosco Vecchio, Pian Bernardo, all'inizio della Valle del Porco), è composta da rocce bioclastiche grigie o biancastre in strati di spessore variabile. Alle pendici più elevate del settore centro-meridionale del monte, sino a quelle settentrionali, è possibile riconoscere rocce bioclastiche a Orbitolina e calcari appartenenti al Cretaceo inferiore. Tra la borgata di Valdesi e il limite nord-occidentale del complesso montuoso sono presenti, invece, grosse bancate di calcari algali e livelli bioclastici databili all'Eocene inferiore-medio.

   Di origine più recente, e di elevato valore scientifico, sono invece i terreni affioranti alle falde e in alcuni isolati punti del monte. Si tratta di lembi di calcareniti, di sedimenti consolidati del pavimento di alcune grotte e infine di terre rosse continentali di riempimento di fessure, databili all'incirca al Pliocene superiore-Pleistocene inferiore. Questi affioramenti, già oggetto di studio da parte di eminenti naturalisti e paleontologi sin dal secolo scorso (Marchese Antonio De Gregorio, 1886), presentano notevole importanza per la moderna paleontologia per le faune vertebrate da essi restituite. t il caso di ricordare tra queste la Pellegrinia panormensis, roditore di grosse dimensioni appartenente alla famiglia degli Ctenodattili; la Pannonictis arzilla, mustelide, studiato recentemente, simile ad una lontra, che ha consentito di datare al Pleistocene inferiore tutto il deposito; l'Apodemus maximus, muride di grandi dimensioni; l'Episoriculus sp., grosso leporide attualmente vivente in Nord America e ultimo rappresentante di una sottofamiglia estinta; il Nesiotites sp., soricide gigante recentemente scoperto ed in corso di studio.

   Oltre a costituire le uniche testimonianze di forme vertebrate continentali del Pleistocene inferiore di Sicilia, tali faune, per il loro carattere endemico conseguente all'isolamento, fanno ritenere che la conformazione della Sicilia occidentale fosse a quel tempo molto articolata, con gli attuali rilievi componenti un arcipelago di cui Monte Pellegrino doveva costituire uno degli isolotti. Tra le faune fossili invertebrate, rinvenute in alcuni affioramenti del Cretaceo, si ricordano gli splendidi esemplari di molluschi (Caprine e Caprinule), i cui olotipi sono stati istituiti dal Gemmellaro.

   Monte Pellegrino possiede anche un eccezionale patrimonio speleo-archeologico che ha suscitato notevole interesse fin dall'800, portando alla scoperta di 134 fra grotte e cavità. Queste si aprono alle falde o nelle pareti della montagna. Va ricordata la Grotta Addaura, piccola cavità tra la Punta Priola e la Colonia Roosevelt, di origine marina e orinai svuotata dell'originario deposito paletnologico (in parte conservato presso il Museo archeologico di Palermo e il Museo geologico Gemmellaro), recante su due pareti graffiti che raffigurano uomini e animali del Paleolitico superiore, ritenuti contemporanei a quelli rilevati lungo la Valle del Rodano e nella zona centro-meridionale della Spagna.

   La Grotta Niscemi è una modesta cavità anch'essa svuotata del suo deposito antropozoico, interessante per i rinvenimento di industrie del Paleolitico superiore e per la presenza sulle pareti di graffiti zoomorfi e disegni di imbarcazioni del XV sec., nonché resti di iscrizioni puniche.