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La Morte

pagina curata da Santino Gattuso

 

 

Se questa pagina riesce a farvi riflettere sulla morte fino a farvi acquisire con essa un rapporto sereno, avrò raggiunto il mio vero ed unico scopo.  Santino Gattuso

 

La morte non è altro che un cambio di vita. Noi vivevamo fisicamente e continueremo a vivere nel ricordo di chi ci ha conosciuti e poi, quando tutti quelli che ci hanno conosciuto moriranno, spariremo per sempre da questa terra... solo chi ha lasciato il segno sopravvivrà alla sua morte! 

Quando verrà il mio turno, se avrò il tempo di riflettere, la mia attenzione sarà rivolta alla vita che ho condotto.

Rifletterò sulla mia capacità di essere generoso e di dare amore, su ciò che ho ricevuto ma soprattutto su ciò che ho dato e questo mi aiuterà a capire se il mio passaggio su questa terra avrà avuto un senso.

Ci saranno intorno a me persone che fingeranno di essere dispiaciute della mia scomparsa, ma lo faranno solo per soddisfare l'occhio della gente anche se in vita mi hanno fatto soffrire maledettamente, persone presenti solo perché sperano di ottenere qualcosa dai miei familiari, ci saranno, e alcune non potranno esserci, persone che mi hanno amato veramente e che lo hanno fatto per quello che sono stato accettando i miei difetti e godendo delle mie virtù.

Tutti pensano di conoscerci a fondo, ma pochi si rendono conto che nessuno potrà sapere veramente chi siamo tranne noi stessi! Forse neppure noi possiamo capire a fondo chi siamo, sappiamo quali sono stati i principi che hanno guidato le nostre scelte ma non sappiamo il livello di consapevolezza con cui le abbiamo fatte. La nostra assenza, però, farà capire a chi rimane il vuoto che avremo lasciato gli equilibri cambieranno e questo aiuterà i nostri congiunti a capire il vero ruolo che abbiamo svolto in vita.

    Roma, 05/09/2022                                                                                          Santino Gattuso

 
 
 

I pensieri sul fine vita hanno riempito molte pagine di letteratura, di filosofia di poesia..., la nostra vita è ricca di opportunità ma la sua fine ci spaventa perché pochi riescono a riflettere sulla reale importanza del momento fatale.

Vivere la vita è importante e se non lo facciamo nel momento in cui la sua fine si avvicina avremo tanti rimpianti.

Quando la nostra vita ha inizio sappiamo già che un giorno più o meno lontano deve finire, e allora la cosa più saggia è riempirla di contenuti.

Non possiamo allungare il tempo che il destino ci concederà, ma possiamo riempirlo di contenuti perché domani non dovremo dire avrei potuto fare di più.

Il pensiero dell'umanità su questo evento è davvero immenso e voglio offrirvi una raccolta delle più importanti riflessioni che ci aiutano a dare il giusto peso ad un evento che per noi non ha nessuna importanza perché prima di esso ci siamo e subito dopo non ci siamo più, sono gli altri che soffriranno per la nostra mancanza, ma per noi sarà come addormentarsi in un sonno profondo senza risveglio

    Roma, 05/09/2022                                                                                          Santino Gattuso

 

Non temo la morte……ma il mio stile di vita!
Non sono i morti che dobbiamo piangere, ma è la vita che dobbiamo curare e rendere serena. La vita dei nostri cari, la vita dei nostri amici, la vita di chi incrociamo una sola volta nella nostra strada, la vita di chi non abbiamo mai conosciuto. Perché se tutti facessimo ciò, la vita di tutti sarebbe migliore. E invece no, noi diamo spazio agli egoismi, alle ambizioni, alle arrabbiature, diamo spazio a tutte quelle cose che fanno male e pensiamo che fanno male agli altri, senza renderci conto che gli altri hanno una loro vita che vivono senza di noi e che li renderà sereni o tristi non per ciò che hanno vissuto con noi, ma per ciò che loro assumono come stile di vita.

                                                                                                                           Santino Gattuso

 
 

Non è la morte che mi fa paura, ma il dolore, la preoccupazione di un lungo periodo di sofferenza, l'incapacità di badare a se stessi nell'ultimo periodo che ci accompagna alla fine della vita e dover dipendere da altri. Cos'è in realtà la morte, per molti è un modo di essere che viene meno, per chi ha fede, è un momento di gioia che ci riporta alla casa del padre, altri pensano che avremo altre occasioni per tornare su questa terra magari con altre sembianze, ma se in questa terra abbiamo saputo donarci agli altri, noi non moriremo finché gli altri conserveranno in loro il ricordo di noi. I genitori continuano a vivere nella memoria dei figli e dei nipoti, ma chi continua a vivere molto a lungo, addirittura per molti secoli, sono uomini che hanno lasciato il segno del loro passaggio, Aristotele, Gesù, Leonardo da Vinci, Michelangelo.... Io penso che noi dobbiamo saper vivere, dobbiamo vivere il mondo che ci circonda con intenso amore, amore verso noi stessi, verso tutti coloro che attraversano la nostra vita, amore verso le nostre abitudini quotidiane solo così lasceremo il segno, più o meno lungo, della nostra esistenza e solo così potremo affrontare il momento del trapasso con grande serenità. Che altro dirvi ... ci sono personaggi illustri che vi diranno altro, scorrete la pagina....

Santino Gattuso

 

 

Morte di Paolo e Francesca

Quando un bambino nasce tutti ridono, ma lui piange!

Quando una persona muore chi resta piange, lui no... rinasce ad una nuova vita!

Santino Gattuso

Il mistero della morte ha spinto i filosofi a lunghe meditazioni, i poeti a scrivere fiumi di versi; tutti gli uomini, colti o ignoranti, poveri o ricchi, allegri o tristi, ognuno a modo proprio, vivono la loro vita con il pensiero ricorrente di ... quando verrà quel giorno e di ... come sarà. Noi vogliamo darvi un nostro piccolo contributo per arricchire di nuovi elementi la vostra conoscenza su questo mistero con citazioni, poesie e quant'altro. Chiunque di voi vorrà darci un contributo per esplorare questo mondo misterioso avrà la nostra gratitudine; Davanti alla morte che tutto spiana abbiamo deciso che i grandi della letteratura italiana, i grandi filosofi, i grandi scienziati saranno affiancati al contributo di chiunque possa offrirci un momento di profonda riflessione.

Santino Gattuso

 

 

Aristotele e Platone

 

 

 

 

 

Se alla fine dei miei giorni avrò dato amore non sarò vissuto invano, la morte sarà un momento di serenità e nessuno dovrà piangere ma tutti dovranno sorridere perché rinascerò ad una nuova vita.

Santino Gattuso

 
 
 

foglie morte...e la natura riprende il suo ciclo!

 
 
 

Epicuro

 
 

Abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza.

Epicuro

 
 

L’esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, senza l’inganno del tempo infinito che è indotto dal desiderio dell’immortalità.

Epicuro

 
 

Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c’è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l’affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire.

Epicuro

 
 

La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi.

Epicuro

 
 

Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive. Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce”. Epicuro

 

 

 

 

Gustav Klimt, La morte e la vita (1908-1913), Vienna, Collezione privata.

 

 

 

«  Due cose belle ha il mondo: amore e morte. »  Giacomo Leopardi

 
 

 

 

 

Giacomo Leopardi

 

"Chi ha il coraggio di ridere, è il padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire."  Giacomo Leopardi

 

 

"Non c'è dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più più più
intendi chi ancora ti culla:
intendi la dolce fanciulla
che dice all'orecchio: più più"
Da i Canti Orfici di Dino Campana

 

 

 

 
 

“La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive.” (Thomas Mann)

 

 

 

È l'amore, non la ragione, che è più forte della morte. (Thomas Mann)

 
 
 
 

 “La morte è più forte dell’amore, è una sfida all’esistenza”. (Émile Zola)

 

 

 

Non c'è altra morte tranne che l'assenza d'amore. (René Barjavel)

 

 

"Ed è il pensiero della morte che al fin aiuta a vivere" da Ultime cose di Umberto Saba

 

 

Uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai
da Rime di Vittorio Alfieri

 
 

Lo stolto teme e fugge la morte, il pazzo la cerca e le corre incontro, il savio l’aspetta.

Preso da un cartiglio della Davit - Torino

 

 

Sant’Ippolito di Roma - Se uno muore perché fedele a Dio dobbiamo rallegrarci perché ha trovato la vita eterna.

 

 

 

LA MORTE NASCE

 

 

Cerchiamo la morte nell’assenza ,

 spesso è nella presenza che qualcosa silenziosamente e ineluttabilmente muore.

Muore la felicità in un amore negato,

muore la speranza nell’indifferenza,

muore il rispetto nella violenza,

muore la pace nell’odio.

Ma come  ogni estremo ha la sua controparte

 anche la morte è fautrice di nascita,

 Nello stesso istante in cui la morte muove i suoi passi diventa madre di nuovi figli,

 e la notte fa spazio al giorno

e il buio alla luce ,

così gradatamente la morte accompagna la vita.

 L’una senza l’altra nulla sarebbero

perché in ognuna l’altra trova il suo significato.

 

Romana Prostamo

 

 

 

 

 

 

"La nostra morte non è una fine se possiamo vivere nei nostri figli e nella giovane generazione. Perché essi sono noi: i nostri corpi non sono che le foglie appassite sull'albero della vita."  (A. Eistein)

 

 

"So che morirò, ma non ci credo" - dice Jacques Madaule. Lo so, ma non ne sono intimamente persuaso. Se ne fossi persuaso, completamente certo, non potrei più vivere.

La morte è questo: la completa uguaglianza degli ineguali.

 

tratti da: Pensare la morte?  di Vladimir Jankélévitch 

 

 

 

 

 

Il terrore della morte è dovuto all'incertezza di ciò che ci attende. La risposta è semplice e tranquillante: esattamente la medesima situazione di prima che fossimo.   Le minime di Morandotti di Alessandro Morandotti

 

 

 

 

 

 

Non è vero che la morte ci giunge come un'esperienza in cui siamo tutti novellini (Montaigne).

 

 

Tutti prima di nascere eravamo morti. Cesare Pavese,  Il mestiere di vivere

 

 

 
 

 

Lucio Anneo Seneca

 

 

Noi pensiamo alla morte come a qualcosa che sta davanti a noi, mentre in gran parte è già alle nostre spalle: tutta l'esistenza trascorsa è già in suo potere.   Lucio Anneo Seneca,  Lettera a Lucilio

 
 

“Tu, invece, preparati ogni giorno a lasciare serenamente questa vita a cui tanti si avvinghiano e si aggrappano, come chi è trascinato via dalla corrente si aggrappa ai rovi e alle rocce. I più ondeggiano infelici tra il timore della morte e le angosce della vita: non vogliono vivere, né sanno morire. Abbandona ogni preoccupazione per la tua esistenza e te la renderai piacevole. Possedere un bene non serve a niente se non si è pronti a perderlo”.  Seneca

 
 

“La morte è l’una o l’altra di due cose. O è un annullamento e i morti non hanno coscienza di nulla; o, come ci vien detto, è veramente un cambiamento, una migrazione dell’anima da un luogo ad un altro”. Socrate

 

 

 

 

 

Il pensiero della morte ci inganna, perché ci fa dimenticare di vivere. Vauvenargues Riflessioni e massime

 

 

"Le persone che vivono intensamente non hanno paura della morte." A. Nin

 

 

 

 

 

 

"La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo."  V. Woolf

 

 

"Se sei triste e vorresti morire, pensa a chi sa di morire e vorrebbe vivere."  J. Morrison

 
 
 
 

“Morire è l’ultima cosa che farò”. Roberto Benigni

 

 

 

 

 

Chi insegnerà all'uomo a morire, gli insegnerà a vivere Michel de Montaigne

 

 

"La vita continua" è un'espressione metafisica, che va al di là dell'apparenza. La vita continua "per tutti" - così andrebbe interpretata. Cioè la vita è un concetto che include la morte e che caratterizza l'intero universo. La morte, dunque, è solo trasformazione.

 

 

Trionfo della morte - Palermo, Palazzo Abatellis.

 

 

 

Il trionfo della morte

 

"Non è ver che sia la morte
Il peggior di tutti i mali
È un sollievo dei mortali
Che son stanchi di soffrir"

 

Da Adriano in Siria di Pietro Metastasio

 

 

Le meditazioni umane riguardo il fenomeno della morte costituiscono storicamente uno dei fondamenti nello sviluppo delle religioni organizzate. Anche se le interpretazioni e i modi di definire / analizzare la morte variano diametralmente da cultura a cultura, la credenza in una vita dopo la morte - un aldilà - è assai diffusa e molto antica.

 

 

 

 

 

 

Per la maggioranza delle religioni di matrice cristiana, si crede che il Paradiso sia un luogo o uno stato trascendente in cui l'anima del defunto, unita al corpo alla fine dei tempi, trascorrerà l'eternità in continua contemplazione di Dio. L'inferno, il limbo e il purgatorio costituiscono invece i luoghi a cui sono condannate le anime non pure, anche se chiese e teologi non sono concordi sull'esistenza e su cosa rappresentino questi luoghi.

 

 

"Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare:"

Dal Cantico delle creature San Francesco d'Assisi

 

 

 

 

 
 

Fra i Cristiani, dalla visione dell'anima immortale e dell'inferno si distaccano solo le chiese cristiane avventiste ed i Testimoni di Geova, che insegnano con toni diversi che dopo il giudizio finale i peccatori saranno puniti con la distruzione eterna.

 

 

 

 

 

 

Presso l'Induismo, il Sikhismo ed altre religioni orientali si crede nella reincarnazione; secondo questa filosofia, la morte rappresenta un passaggio naturale (tanto quanto la nascita) tramite il quale l'anima abbandona un involucro ormai vecchio per abitarne uno nuovo (il corpo fisico), fino all'estinzione del karma ed alla conseguente liberazione definitiva. Per questo motivo l'idea della morte viene affrontata con minor struggimento interiore.

Molti antropologi ritengono che le sepolture degli uomini di Neanderthal in tombe scavate con cura e adorne di fiori siano la testimonianza di una primordiale fede in una sorta di aldilà. Alcuni considerano che il rispetto per i defunti e per la morte (più o meno allegorizzata) sia istintivo all'uomo.

 

Tratto da Wikipedia

 

 

Per il Panteismo (il termine "panteismo" deriva dai termini greci pan = "tutto" e theos = "dio"), "tutto è Dio", o meglio "il Tutto è Divino", e cioè, c'è una identificazione fra Divinità e Natura.
Gli Dei non sono relegati in un astratto mondo ultraterreno, ma sono presenti nella Natura, il cui volto visibile non è che l’aspetto esterno degli Dei stessi, la Natura non è che teofania, manifestazione divina.

 

Eraclito considerava come un problema di cui render conto: all'interno della sua concezione panteistica la morte non è altro che un ritorno nell'"unità e comunanza del cosmo", dove l'individuo si dissolve e acquisisce l'immortalità, benché in senso impersonale.

 

 

Per Platone, che subiva l'influsso delle dottrine orfiche, la morte equivale alla separazione dell'anima immortale dal corpo corruttibile e all'inizio di una nuova vita dell'anima individuale. La concezione platonica suggeriva un atteggiamento di serena accettazione della morte, almeno per il filosofo, che si cura dell'anima e non del corpo.

 

 

In una prospettiva già ‘esistenziale’ si pone il sistema epicureo, che nega che la morte sia un male, non perché momento di passaggio all'immortalità, ma in quanto assoluta insensibilità derivante dalla cessazione della vita organica.

 

 

Prospettiva esistenziale e prospettiva metafisica sono invece connesse nello stoicismo, per il quale la serena accettazione della morte è conseguente alla consapevolezza che alla morte sopravviva un'anima (corporea) come parte dell'anima del mondo.

 

 

L'idealismo tedesco, soprattutto con Hegel, riproporrà l'antico tema della immortalità impersonale in una prospettiva panteistica, prospettiva peraltro comune agli autori del Romanticismo tedesco (Novalis, Hölderlin): la morte individuale è per Hegel un momento dello spirito universale, che comprende nel suo sviluppo storico i destini dei singoli.

 

 

Per Feuerbach, il concetto di morte individuale è espressione della finitezza dell'uomo, riscattata soltanto dall'infinità dello spirito di cui l'uomo è partecipe

 

 

L'esistenzialismo intende la morte come "situazione" decisa, come possibilità esistenziale sempre aperta e tale che in base a essa soltanto, intesa come limitazione dell'esistenza, è possibile valutare e comprendere la vita.

 
 
 

 

La morte di Didone (1631) | Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino

 

 

« Fui pervaso fin nel più profondo del cuore dal sentimento dell'impermanenza di tutte le cose che mi era stato trasmesso da mia madre. La vita umana era effimera come i petali avvizziti, spazzati via dal vento. La nozione buddhista dell'impermanenza (mujo) faceva parte del mio essere più intimo. Niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è condannato a scomparire o a mutare. Anche lo spirito, come la materia, è chiamato a trasformarsi, senza mai poter raggiungere la permanenza. Per questo l'uomo è costretto ad avanzare in solitudine, senza alcun appoggio stabile. Come è detto nello Shodoka, neppure la morte , che lascia ciascuno solo nella sua bara, è definitiva. Soltanto l'impermanenza è reale »

 (Taïsen Deshimaru, "Autobiografia di un monaco zen", traduzione di Guido Alberti. Titolo originale: Autobiographie d'un Moine Zen)

 

Tratto da Wikipedia

 

 

La morte è anche una figura mitologica molto popolare, presente in forma più o meno differente in moltissime culture umane fin dall'inizio della tradizione orale.

Tratto da Wikipedia

 

 
   
   

   

 

 

 

 

 

 

L'iconografia occidentale rappresenta la morte in genere come un sinistro mietitore: uno scheletro vestito di un saio nero, che impugna una falce fienaia. Come tale, è ritratta anche in una carta dei tarocchi ed appare sovente in letteratura e nelle arti figurative.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conseguenze sociali, usi e costumi rituali

 

Nella cultura occidentale, il corpo del defunto viene in genere deposto in una bara. Nella quasi totalità delle culture, si celebra una cerimonia commemorativa detta funerale, durante o poco dopo la quale essa è inumata in una tomba (che può essere un loculo in un edificio cimiteriale o più tradizionalmente una fossa scavata nel terreno). La salma può anche essere cremata, in questo caso presso taluni popoli se ne conservano le ceneri, mentre presso altri si disperdono in corsi d'acqua o nel mare.

Le diverse culture hanno riti e usanze differenti per rendere ossequio ai loro defunti: ad esempio, presso gli antichi persiani, per i quali sia la terra che il fuoco erano sacri, i cadaveri non erano seppelliti o bruciati per non contaminare i due elementi, ma lasciati a decomporsi su piattaforme sopraelevate; uso vivo anche presso alcune tribù di indiani americani.

Le tombe si trovano generalmente accorpate in terreni civici destinati a tale scopo, detti cimiteri, ove il necroforo si occupa poi materialmente della sepoltura e delle altre operazioni tecniche e pratiche riguardanti le salme.

I cimiteri sono generalmente considerati luoghi sacri.

 
 

Giuseppe Ungaretti (1888-1979) - Sono una creatura

 

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

 
 
 
Giuseppe Ungaretti
 
 
 

Agonia - Di Giuseppe Ungaretti

 

Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato

 
 
 

Inno alla Morte - Giuseppe Ungaretti - tratto da Sentimento del tempo

clicca per sentirla recitata

Amore, mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E' l'ultima volta che miro
(Appié del botro, d'irruenti
Acque sontuoso, d'antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull'erba svagata si turba.

Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.

Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell'acqua buia
Senza rimpianto.

Morte, arido fiume...

Immemore sorella, morte,
L'uguale mi farai del sogno
Baciandomi.

Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.

Mi darai il cuore immobile
D'un iddio, sarò innocente,
Non avrò più pensieri nè bontà.

Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Farò da guida alla felicità.

 
 
 
 
 
 

La terra e la morte - Cesare Pavese

 

Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell'estate

 
 
 
 
 
 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi - Cesare Pavese

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 
 
 
 
 
 

Sulla morte - Kahlil Gibran

 

Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte.
E lui disse:
Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.

Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell'eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.
In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l'impronta regale?
E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?

Che cos'è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?
E che cos'è emettere l'estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?
Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.

 
 
 
 
 
 

Della testa di morto - Guido Gozzano tratto da Le farfalle. Epistole entomologiche

 

L'Acherontia frequenta le campagne,
i giardini degli uomini, le ville;
di giorno giace contro i muri e i tronchi,
nei corridoi più cupi, nei solai
più desolati, sotto le grondaie,
dorme con l'ali ripiegate a tetto.
E n'esce a sera. Nelle sere illuni
fredde stellate di settembre, quando
il crepuscolo già cede alla notte
e le farfalle della luce sono
scomparse, l'Acherontia lamentosa
si libra solitaria nelle tenebre
tra i camerops, le tuje, sulle ajole
dove dianzi scherzavano i fanciulli,
le Vanesse, le Arginnidi, i Papili.
L'Acherontia s'aggira: il pipistrello
l'evita con un guizzo repentino.
L'Acherontia s'aggira. Alto è il silenzio
comentato, non rotto, dalle strigi,
dallo stridio monotono dei grilli.
La villa è immersa nella notte. Solo
spiccano le finestre della sala
da pranzo dove la famiglia cena.
L'Acherontia s'appressa esita spia
numera i commensali ad uno ad uno,
sibila un nome, cozza contro i vetri
tre quattro volte come nocca ossuta.
La giovinetta più pallida s'alza
con un sussulto, come ad un richiamo.
"Chi c'e'?" Socchiude la finestra, esplora
il giardino invisibile, protende
il capo d'oro nella notte illune.
"Chi c'e'? Chi c'e'?" "Non c'è nessuno, Mamma!"
Richiude i vetri, con un primo brivido,
risiede a mensa, tra le sue sorelle.
Ma già s'ode il garrito dei fanciulli
giubilanti per l'ospite improvvisa,
per l'ospite guizzata non veduta.
Intorno al lume turbina ronzando
la cupa messaggiera funeraria.

 
 
 
 
 
 

Anna Achmatova (1896-1966)

 

Tu verrai comunque
perché dunque non ora?
Ti attendo
sono sfinita
Ho spento il lume e aperto l'uscio
a te, così semplice e prodigiosa.
Prendi per questo l'aspetto che più ti aggrada
irrompi come una palla avvelenata
o insinuati furtiva come un freddo bandito
o intossicami col delirio del tifo
o con una storiella da te inventata
e nota a tutti fino alla nausea
che io veda la punta di un berretto turchino
e il capopalazzo pallido di paura.
Ora per me tutto è uguale
turbina lo Enisej
risplende la stella polare
e annebbia un ultimo terrore
l'azzurro bagliore di occhi addolorati

 
 
 
 
 
 
Giulia Luigia Tatti
 
   
   
Note Notte
 

Se un desiderio

acuto ma irraggiungibile

equivale alla morte

odo

accanto a mille solitudini

ciò che, indicibile,

ha colpito il mio fianco.

Ritornerai,

siffatto filo d' erba

e di rugiada irrorato

o, forse raggio di sole

che torni a illuminarmi l' ombra?

E, come ombra senza raggio di luna,

canto, contro un chiaror di stelle

il mio lamento e con  la mano,

volgo un bacio ad un salice

che, pietoso, freme...

 

 

 

Cala il sipario

ed è un fremito, un battito di ciglia.

Lo stesso tempo che intercorre

dal giorno della nascita

a quello della morte

ed io, che  ancora posso,

scrivo per voi un amore

quel che  ho vissuto, e di come,

il cuore,

procedeva col sogno che conobbi.

Tutte le cose, mutano,

e quelle belle,

scorrono via come le  acque,

sospinte dal bordo di due ciglia

che un torrente in piena ha sgretolato.

Che importa sapere che i miei passi

seguono le tue orme,

se più in là, o  altrove,

ritroverò l' amore che mi hai promesso ?

Un amore che il tempo ha assottigliato,

ed è pur vero,

che tutto ciò che l' uomo apprezza

solo un istante, dura,

o solo un giorno.

Oscure Potenze, non fate,

che il suo canto si disperda travolto

dall' impetuosità del vento,

non fate,

ch' io non oda  il riecheggiar del riso suo

in vicoli bui senza la luna,

ma lasciate

che un silenzio,

di musica intessuto, fluisca,

ed  accompagni

il suono dei suoi passi.

 

   
   
   
Giulia Luigia Tatti
   
   
   
Madame Confini
   

Elegante signora

raffinata

s' avanza  nel suo vestito nero

preceduta

da due maestosi sauri neri...

li sento ansimare

alle mie spalle.

Un baleno, come frusta s' abbatte

e in un fragor di rombo,

un' altra foglia

ritorna

nel cuore della sua madre terra.

 

 

 

 

 

 

Ascoltando il silenzio

un lontano richiamo smarrito nel tempo

mi assale ...

Sei tu?

Si.

Ti sento, ti cerco

ed il vento mi abbraccia

in un  lento asciugare di gocce salate sul viso.

Mi stai ancora chiamando?

Fà presto, senza ch' io me ne accorga,

con sorrisi armoniosi e sprazzi di luce

a dipingermi un tempo restante

che risuoni tenace e dimezzi le attese,

di aurore, di valzer gioiosi,

tramonti lucenti, vibranti,

un confine ai miei sogni inesplosi.

Forse esistevi da sempre

all' ombra del mio incedere lento,

nel fragore dei miei tristi silenzi,

nel vibrare di emozioni scordate.

Mentre corro,

sotto limpide gocce di cielo,

s' inebria di sole la mia solitudine.

 
 
 
 
 
 

La morte - F. De André (1940-1999)

 

La morte verrà all'improvviso
avrà le tue labbra e i tuoi occhi
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco
nell'ozio, nel sonno, in battaglia
verrà senza darti avvisaglia
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno né il tamburo.

Madonna che in limpida fonte
ristori le membra stupende
la morte no ti vedrà in faccia
avrà il tuo seno e le tue braccia.

Prelati, notabili e conti
sull'uscio piangeste ben forte
chi ben condusse sua vita
male sopporterà sua morte.

Straccioni che senza vergogna
portaste il cilicio o la gogna
partirvene non fu fatica
perché la morte vi fu amica.

Guerrieri che in punto di lancia
dal suol d'Oriente alla Francia
di strage menaste gran vanto
e fra i nemici il lutto e il pianto

davanti all'estrema nemica
non serve coraggio o fatica
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore.

 
 
 
 
 
 

'A livella - Antonio de Curtis /Totò (1898-1967)

 

Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'o' tubbo, 'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo.. calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé.. - piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
...Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na 'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale... Pasca e Ppifania!!!
T' 'o vvuo' mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora è fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo à morte!"

 

 

 

Caspar David Friedich

 
 

Hikmet Nazim (1902-1963)

 

La morte è giusta, dice un poeta persiano,
ha la stessa maestà colpendo il povero e lo scià.
Hascìm, perchè ti stupisci?
Non hai mai sentito parlare di uno scià
morto in una stiva con un secchio di carbone?
La morte è giusta, dice un poeta persiano.

 

 

 

Caspar David Friedich

 

 

 

Sergio Corazzini (1886-1907): Il cimitero

 

O morti ignoti, senza
croci, senza corone
fiorite ne le buone
primavere,

o morti, a di partenza
vostra non pianse occhio,
non si piegò ginocchio,
non bocca ebbe preghiere!
O morti, solo, io porto
fiori alle vostre fosse,
oggi, son rose rosse
- che tu buon sole aprivi!
E pure io sono il morto
fra questi ignoti spenti,
e voi, morti giacenti,siete i vivi!

Nei cimiteri
spesse zolle di terra, fra le croci
sassi e nicchie; dei nomi antichi assai
che sopra i freddi marmi bianchi e austeri
la lebbra de le pietre cancellò...
Monumenti, davanti alle cui porte,ove un lume di morti stride ed arde,
i ragni più feroci
hanno filato le sottili tele...
O vegliardi, o vegliarde
sono morti, son morte!...

 

 
 
 
 
 

Salvatore Toma (1951-1987)

 

La morte ghermisce
ma forse è innocente
si muove senza malizia
perciò di innocenti
a volte si nutre
come di premure un malato.
Forse la morte è innocente
la sbandiera senza malizia
la sua falce beffarda e dolorosa
e da noi esala già forse concepita
quest'ossessione bellissima
che è vita.
Forse la morte è già in noi
quando senza malizia
una sera si annuncia da lontano
coi suoi sonagli d'oro.

La vita per innocenza
va goduta dormendo
e lui si è solo girato di fianco.
Sì meglio dare il fianco
alla morte
insegnarle il perdono
che darle le spalle per viltà
o il petto per arroganza.

 

 

 

 

Dei Sepolcri - Ugo Foscolo

 

     All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
      Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'amico estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
      Sol chi non lascia eredità d'affetti
poca gioia ha dell'urna; e se pur mira
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
fra 'l compianto de' templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d'lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
     Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t'appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de' buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d'ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov'io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch'or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d'ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l'úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l'immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d'umane
lodi onorato e d'amoroso pianto.
     Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi
all'etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a' fasti eran le tombe,
ed are a' figli; e uscían quindi i responsi
de' domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d'anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a' templi
fean pavimento; né agl'incensi avvolto
de' cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d'effigïati scheletri: le madri
balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l'amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l'urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell'uom cercan morendo
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d'aura de' beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de' suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe' la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d'inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l'opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell'Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l'amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l'esempio.
     A egregie cose il forte animo accendono
l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a' regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l'arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide
sotto l'etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all'Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
- Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe' lavacri
che da' suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell'aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d'oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l'idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d'un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l'itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l'alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t' invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all'Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a' patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l'austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l'ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a' Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,
la virtú greca e l'ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d'armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a' moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
     Felice te che il regno ampio de' venti,
Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l'antenna
oltre l'isole egèe, d'antichi fatti
certo udisti suonar dell'Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l'armi d'Achille
sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all'Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l'onda incitata dagl'inferni Dei.
     E me che i tempi ed il desio d'onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de' sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l'armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a' peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de' fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d'Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea
l'Olimpio: e l'immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da' lor mariti l'imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all'ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l'amoroso
apprendeva lamento a' giovinetti.
E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de' Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l'altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l'ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.

 

 

 

 
 

 

In morte del fratello Giovanni - Ugo Foscolo

 

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

 

 

 

 

 
A Zacinto - Ugo Foscolo

 

 

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

 

 

 

 

 

 

Alla sera  - Ugo Foscolo

 

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'imago a me sì cara vieni
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

 

 

 

 

 

 

In volo …verso casa - Lucia Tiziana Mignosa

 

Contrasta il rosso intreccio

papaveri su infiniti fili d’erba

col niveo lenzuolo

sul cinereo asfalto.

 

E’ silenzio

oltre le grida di dolore

è silenzio!

 

Distanti

risa di bimbi ignari

sotto questo assurdo azzurro vivo

divergono con l’urlo dell’amore

nello straziante momento del dolore.

 

E m’alzo insieme a te

anima confusa

contesa tra l’effimero

della dura terra

e il caldo abbraccio

che senza tempo ama.

 

S’allontana allora

quell’umana mano

che verso il cielo invoca

inutilmente vita

dimentica che l’anima è vita

e mai si perde.

 

E noi

nell’invisibile abbraccio

fluttuando leggeri

ci allontaniamo dalle rosse case

e dall’ondeggianti cime.

E poi i laghi e i ghirigori d’acqua

e l’immensità del mare

…e lo stivale

in tutta la sua bellezza

davanti ai nostri occhi sbalorditi

come una magnifica visione…

appare!

 

E ancora

ancora più su

fino alla curva dell’orizzonte

…é il fianco della terra

che come per magia

sempre più piccola…

diventa.

 

 

 
 
 
Non si muore solamente
 

Le persone non muoiono soltanto

quando smettono di contare giorni

a volte semplicemente vanno via

e altre il corpo lasciano a pascolare

mentre il canto della follia

la loro mente intona.

 

Quando della morte

uno dei suoi aspetti incontri

che sia quello ufficiale

o uno dei due non riconosciuto tale   

è sempre uno strappo al cuore

che non può non fare male.

 

Tutti abbiamo sempre dato credito

al fatto che morire

come qui s’intende

sia il male più pesante

che mai possa capitare

a noi ancora uomini di così poca fede.

 

Eppure anche gli altri due 

non posseggono buchi nelle tasche del tormento

quando nel secondo sai che c’è

ma è passo altrove e negazione di presenza

nel terzo invece gli occhi si colmano d’aspetto

ma il singhiozzo si fa pozza nel dolore dell’assenza.

 
 
 
 
 
 

Nel Tempo - Luciano Somma

 
 

Non sento più il garrire delle rondini

Nel mio giardino reso malinconico

Da un’aria spesso troppo irrespirabile

Dal fumo nero che esce da discariche.

 

Addio dunque al terreno non più fertile

Fatica di mio padre e di mio nonno

Eredità che lascerò  ai miei figli

Solo una foto ormai sbiadita e inutile.

 

All’orizzonte vedo tante nuvole

Sui miei domani ormai sempre più sterili

Negli occhi sento scendere una lacrima

Il treno parte-scenderò alla prossima.

 

 

 

 

 

 

’A Freddigliosa

La Freddolosa

Vincenzo Cerasuolo

 

Se more semp’ ’e friddo…

nun piglia maje calore;

arrobba vita e ammore… 

pe’ se puté’ scarfà’.

 

Ma nun ll’abbasta maje…

sta ’ncerca ogne mumento;

…e senza sentimento… 

acchiappa addò va va. 

 

Lle songhe tutt’euale…

cu ’e stracce o c’ ’a  cravatta:

’e ppiglia, ’e spoglia, ’e sfratta…

e annure ’e va a pesà’.

 

Chest’è ’a giustizia ’e Dio…

pure si porta ’o chianto.

…Ma quanta vote ’o canto…

s’aìza p’ ’a chiammà’!

 

Però, quanno t’attocca…

che fifa ca te vene:

t’ ’o ssiente dint’ ’e vvene…

’o ffriddo ’e chella llà.

 

Ha sempre freddo…

non prende mai calore;

ruba vita e amore…

per potersi riscaldar.

 

Ma non le basta mai…

è in cerca ogni momento;

…e senza sentimento…

prende dovunque va.

 

Le sono tutti uguali…

con stracci o con cravatta:

li prende, li spoglia, li sfratta

e nudi li va a pesar.

 

Questa è la giustizia di Dio…

anche se arreca pianto.

…Ma quante volte il canto…

le si eleva a chiamar!

 

Però, quando a te tocca

che fifa che ti viene:

lo senti nelle vene…

il freddo di quella là.

 

 
 

 

 

 

 

Distacco - Luca Capua

 

Vedere

un treno partire

e sentirsi morire.

 

Non vedere

alcun treno,

in una stazione morente

che ormai non è più

nemmeno stazione,

ma uno scheletro

corroso

dal lento divenire

dell’imperterrito male.

 

Trattenere

con ogni forza,

una lacrima

straripante,

l’anima fuggente

oltre i terreni binari

della vita.

 

Sentire

il quotidiano pavimento

scricchiolare,

cedevole,

sotto il plumbeo peso

delle braccia,

stringenti un corpo

assente.

 
 
 
 
L’ADDIO

È tempo, ora, che t’accompagni

sulla soglia del tempo,

per far sì che ti vesta di luce nuova.

La vita mi passa dentro

ricordando tutto ciò

che con te ho condiviso.

Guardo la mia mano,

cresciuta tanto

da diventare più forte della tua.

Papà, quanto è dura lasciarti,

continuare il mio viaggio

su gambe tremule,

ferite dall’addio.

Il tempo è sabbia cruda

che scorre a testa in giù,

dentro quell’assurda clessidra

che chissà quale mano volta.

Incurante della pioggia

che ci bagna il viso,

che poi se sono lacrime o acqua

ancor meno gli importa.

Spetta solo a noi decidere

l’importanza che per noi avrà

chi ci lascia,

come fiori orfani.

 
 
© Miriam Ballerini
 
 
 
 
 
 

Attendo la Morte - Fabrizio Corselli

 
 
 

Annuso accanto a me lo stantio odore della morte

le cui trecce grigie, sul collo sono ancora disciolte

come cappio altresì lento sul corpo di un condannato.

 

Ne sento il gusto amaro di fiele e morbido veleno

tra papille gustative, arrossate, oramai divelte

e decimate ancora dalla sua falce di nero argento;

 

ora più non la sento, poiché dei miei sensi il tatto

è l’unico che ella ancora non seduce o più allieta.

 

Quanto è crudele morire, ogniqualvolta il mio cuore

si spegne e s’acquieta senza poterne sfiorare il volto.

 

L’agogno, l’attendo, ed essa ritarda con crudo cinismo

ed io fermo e composto alla fermata dell’autobus,

mentre aspetto che di quel veicolo si aprano le porte,

tetre, oscure, altresì fiammeggianti nella loro trasparenza

per lasciare intravedere di quel fato che alcuna via concede

un lungo ed interminabile sentiero di pene e dolori.

 

Un altro biglietto, io non l’ho comprato, non ho un soldo,

poiché del ritorno la lieta lusinga non mi è concessa.

 

Tutti, lì accanto a me, muoiono, chi prima o chi dopo

nell’attesa del loro riposo, ed io rimango solo,

in quella fermata senza compagnia alcuna e senza conforto.

 

Ogni anima ai miei occhi s’assottiglia e sparisce, quasi,

in una bruma evanescente come vapor acqueo

su di una lastra di vetro, mentre la loro voce stride

come il dito ritorto e convulso nella vissuta discesa

verso il limite di una fossa dal gusto d’inatteso sopruso.

 

“Controllo l’orario, e  per le cinque è segnata la mia fine,

ma sono in anticipo su di essa, così ne attendo la lieta pausa”

 

L’Autobus si ferma e fuoriesce dalle portiere il conducente

che ossuto reca sulla propria targhetta una scritta in calce:

Caronte, sono io traghettatore di morti e anime disperse.

 

Così nel ritrarre la mano in prima istanza, e ancora,

nel mostrare il mio unico biglietto consunto

da un viaggio assai breve per un comune uomo,

le porte si chiudono, poiché esso è scaduto.

 

Solo ora, facendone dovuta attenzione, mi rendo conto

che per il suicidio non vi è alcuna fermata,

poiché il sottrarsi alla Morte, pur morendo, le toglie

di tutti i piaceri il sommo gaudio.

 
 
 
 
 
 

Ecco il Martiro - Rocco Fodale

 

Quando tutto nella tua vita sembra scorrere tranquillo, d’un tratto il corpo ti rifiuta e ti trascina in punto di morte, e anche oltre, al di là del dolore e della sofferenza estrema. Il guaio repentino diventa tragedia se sei affidato a persone che ignorano la dignità e il rispetto umano del malato… 

 

Ecco il martiro, che sola e unica via,

offre con mano d’Angelo pietoso.

 

Martir, dolo crudel all’occhio spento,

e come in un duello viene offerta

unica fuga giusta e degna pace.

 

L’Angelo deponente con la freccia

indica il dì che muore al viandante

e l’accompagna con sorella Morte

verso il cammino che riede all’Eterno.

 

Corpo di Cristo, dilaniato quel dì,

di tanto Golgota son ricco ora…

Aceto e fiele dove muore il viso.

 

Tutto ricopre il corpo ormai il liquame

e le mie dita attonite e di gelo

implorano la forza ai sensi persi.

 

Non ci son più nel corpo steso orante.

 

Dall’occhio del mio Angelo Custode

ormai sola carezza a me si accosta.

 

Ricco pensai d’esser in dignità,

la malattia mostrai come blasone.

 

Mi fu levata ogni devozione,

e dell’imago mia tutta insozzata

banchettano le arpie ed i portantini…

 

“Guarda… sen va! Si volta, lui, e saluta…”

e forse ancora nei suoi occhi neri

desio vi è tanto, e tanto ancor da dire…

ma tempo non ve n’è… è mezzanotte,

il cuore è fermo, l’alma è ormai in Dio.

 

 

 

 

 

 

La morte - Marco Pellacani

 

 

Ascolto il mio respiro

che piano,

lentamente svanisce

nel nulla

assieme a piccoli sospiri;

mi perdo

nell’infinito mio presente

che forse nessuno vede,

poi m’addormento

e mi sciolgo come neve al sole....

 
 
 
 
 
 

Descrizione d'un ritratto funebre - Claudio Cisco

 

 

Da lassù, in uno strano sogno,

Marietta mi narrò del giorno in cui morì,

quel suo lontano ricordo

del 28 settembre 1872.

 

Ancor limpido era il sole della mia giovinezza

anche se lì fuori con pioggia e vento

battea la morte alla mia porta

e con voce certa ma affannata

forte mi gridava:

“Vieni Marietta, presto vieni”.

Ricordo lontanamente che in un primo momento

un brivido di paura m’assalia fino a farmi tremar

ma poi aprendo nuovamente gli occhi

il composto sguardo di mio padre il mio coraggio mi ridiede

e mentre un prete mi donava l’estrema unzione,

io sentivo di dover andare fra le secrete cose.

Scendean dalle scale le mie cugine

tristi apparentemente ma contente e fredde nell’animo,

mi facean pena vederle illudersi ancor

di quella lor vana ricerca della terrena bellezza

che come un fiore dal petalo si strappa

e appassendo muore.

Suonava l’organo un bimbo mai in vita conosciuto

ma che allora sembraa d’averlo visto da sempre

e in quella dolce musica stancamente mi si chiudean gli occhi

mai rinnegando quella serena bellezza

che sempre in vita m’avea contraddistinta.

L’ultimo mio sguardo nel pallore della morte

era rivolto verso mia madre

che addolorata ma mai rassegnata

l’ultimo bacio mi donava.

Ed ora dopo che il tempo tante orme ha cancellato,

i miei pensieri son tanti ieri

che nell’ignoto fuggon lontano,

ed il mio oggi così come domani

è armoniosa luce.

 

                                                                           E fu così

                                                                           che dal sogno mi destai

                                                                           completamente assente

 
 
 
 
 
 
 

Morte solitaria in un cimitero deserto - Claudio Cisco

 

Odore di morte, ricordi segnati da croci,

paura angosciosa, solitudine senza fine,

tristezza cupa, silenzio assopito,

pianti accorati, rosario di dolore.

Lumicini ardono, crisantemi ornano le tombe,

fotografie di gente che non è più,

ombre vaghe di cipressi,

aria che trema di fiamme e di preghiere,

io che diverrò cenere, sarò ombra di nulla,

niente rimarrà di me:

e quale conforto potrò avere,

perduto tra volti sbiaditi di fotografie d’epoca,

dagli occhi tristi dei posteri?

Una bimba inginocchiata su una tomba,

col cuoricino infranto e gli occhi che s’apron a stento,

unisce le sue labbra e per due volte le dischiude

supplica e singhiozza un nome santo,

il nome della sua mamma.

Un angelo sceso dal cielo

su lei schiude le ali,

e non visto,

nelle mani raccoglie quelle stille viventi per il suo Signore.

Io, smarrito, da solo,

come un uccellino spaurito,

vado per le vie di un cimitero deserto.

Con la mente nel buio

cerco la mia tomba.

Qui dentro tutti mi somigliano

loro morti davvero, io defunto dentro,

con i morti ci so stare.

Io muoio pian piano così

nel triste rosario delle cose che non han ritorno

ma tutto rimarrà com’era,

la mia vita è inutile,

nessuno mi ricorderà,

nessuno s’accorgerà che sono andato via.

Io solo nella vita,

io solo con la morte addosso.

Tomba abbandonata in un angolo oscuro,

faccia sbiadita dal pianto,

occhi già ciechi nel buio,

rughe sul mio viso ancora giovane.

Anima mia stanca, ricordi che non avuto mai,

sogni svaniti nel nulla, speranza affievolita dal tempo,

amore che non mi riscalda più, giovinezza che non è più mia,

morte che mi viaggia accanto.

Questo son io, altre parole non servono.

Eppure la voglia di gridare,

di ridere forte, di spaventare la morte,

c’è ancora dentro me.

Eppure sono figlio della luce, brillo sotto il sole,

ho ali per volare, un cuore per amare,

una mano tesa ancora c’è,

ma il mio sangue è fragile per vivere, troppo fragile!

getto via l’acqua pur assetato di vita

e chissà, forse qualcuno mi capirà,

mi darà il suo sorriso, mi salverà.

No, il buio, no!

Ma poi torno in grembo all’eterno destino.

Il tempo è crudele con me,

mi strappa via dalle cose che sentivo più mie.

La vita è una corsa inarrestabile,

gli anni scivoleranno su me ed io non potrò più fermarli,

so bene che soffrirò, invecchierò,

piangerò tanto, morirò.

Aspetterò in silenzio,

questo tempo nemico della bellezza sciuperà il mio corpo,

trascinerà via la mia ultima fiamma,

disperderà ogni mia speranza,

qualcun altro la raccoglierà.

Tutto fugge e va via veloce

ed io mi accorgo che non mi resta niente,

forse solo una lacrima perduta

in fondo al mio cuore,

forse solo il bene che ho dentro

che mi fa amare di più.

Ed io sto male

e piango in silenzio nel buio della notte,

nascondo nel pianto la mia poesia.

Signore,

dammi la forza di supplicarti ancora,

di chiederti amore.

Le mie parole in una preghiera,

volano in cielo

e fanno piangere Dio.

 

 

 

 

 

 

Nulla eterno - Claudio Cisco

 

Non vi fate sedurre,

non esiste ritorno,

non c’è nulla dopo,

morrete come tutte le bestie

divorati da vermi.

 

 

 

Anna Maria Guarnieri: Il percorso della vita
 
 
 
 

5 vite - Gianni Sapere

 

Mi ritroverai nelle briciole
di pane che con cura lasci
scivolare in una mano e
in una fettina panata troppo
asciutta da mandare giù.
Mi ritroverai in quel raggio
di luna che fatica a sfiorarti il viso
e nella notte di stelle più luminosa
che il tuo cielo abbia mai interpretato.
Mi ritroverai in sguardi taglienti
e in sorrisi inconsapevoli,
negli abbracci negati e in quelli dati
in lenzuola troppo scomode.

Ho ancora 5 vite, il passo incerto
e il mio cassetto di sogni infranti da riempire;
chissà se ti ritroverò,
in questa vita o in un’altra che importa,
in fondo giorno e notte (vita e morte)
sono solo condizioni temporanee…
l’Amore è per sempre!!!

 
 
 
 
 
 

Chi mòre tace… - Paola Durantini

 

Chi mòre tace

e chi vive se dà pace!

Li proverbi nun sbajeno se sa…

e l’antichi sapeveno parlà…

 

Ma er tempo passa… e io nun me conzolo;

solo ner sogno sò filice… e volo!

Però ciò ‘na speranza e nun sò sola…

speramo che nun sia ‘na grossa sòla!

 
 
 
 
 
 

Te ne sei annàta… - Paola Durantini

 

Te ne sei annàta e nun ritorni più

e mò me guardi certo da lassù!

 

Er còre de ‘na madre è sempre vivo,

puro si mò se trova tra le stelle…

proseguo la mia strada e sopravivo

perché tu m’hai inzegnato cose bbelle.

 

Te ne sei annàta e nun ritorni più..

ma sò che m’ami puro da lassù!

 
 
 
 
 
 

In memoria… - Paola Durantini

 

Il dolore può farmi impazzire

e l’assenza mi strazia la mente,

ma la vita non deve finire…

con coraggio sorrido alla gente.

 

…Non più lacrime sul suo bel volto,

non più rughe che solcano il viso…

ma uno sguardo al cielo rivolto,

di chi, ormai, vede già il Paradiso.

 
 
 
 

La commare secca… - Paola Durantini

 

La Commaraccia viè quanno je pare…
nun bussa a la tua porta, la Commare.


Lei entra come er vento...a l'improviso…
senza parole, senza arcun preaviso.
Poi campà pe' un giorno o pe' cent'anni...
da quer momento nun ce so' più affanni.
Nun c’è più gioia, nun ce so' l' inganni,
nun c'è l'odio, l'amòre o li guadàmmi.
Pe' chi resta, forze ce stà er rimpianto,
d’ avè perzo in tantissime occasioni,
er momento delle spiegazzioni;
de nun avè cercato cor compianto,
de finì quarche cosa d'inzoluto
che potesse lenì er dolore ner saluto.


La Commaraccia viè quanno je pare...
quanno è finito er tempo Lei t'appare.....

 
 
 
 
 
 

Death

 

Stride la lama

a spazzare il rumore

caduca vita

 

assordante silenzio

dell'oscura signora

 

Gocce di sangue

cremisi quei petali

ultimo volo:

 

copre il volto cinereo

sogghigna l' ombra nera

 

 
 
Margherita Rimi
 
Veglia
 

Ci avvicina e

ci mette a distanza

il nodo alla gola

che non si dispone

 

Inghiotto.

Il gelo è lì

è tutto sul letto

sugli occhi ancora terreni

 

Mi devi guardare

non siamo più al riparo

mi devi restare

Un dolore malato se può

più guarire

 

Attraversiamo una notte

di spalle

Corpo nel corpo

a salvarti

 

Da dove non posso

arriva la morte.

 
 
Santoro Salvatore Armando
 
 
 
La morte sa aspettare La via dei crisantemi
 
 
 
 

La morte m’accarezza i pensieri,

scivola nella mia mente

e si materializza dall’inconscio

come immagine vera

e vincitrice.

Ella vezzeggia i sogni della gente,

fa sperare ad una vita migliore,

in un mondo diverso

dove gli angeli accompagnano

senza celarsi

le anime semplici

di chi ha creduto in loro.

 

La morte a volte m’insegue,

la vedo nascosta tra le nuvole

che s’alzano dai bombardamenti,

la intravedo

tra le macchine accartocciate

sulle corsie autostradali,

mi beffeggia quando sguazza

sfuggente tra i bagliori

delle tempeste,

mi ammicca

dai cornicioni degli ospedali,

mi circuisce quando

un male m’assale.

 

La morte non rispetta alcuno.

Per il povero a volte

è una liberazione,

ma lei lo sfugge;

e il ricco irride

perché non tratta il prezzo

e non la può comprare.

 

La morte è attorno a noi

e sa aspettare.

 

                    

(Lillianes 23/03/03 23.03)

 

Novembre nulla mi offre,

se non l’orme andate,

di passi stanchi

trascinando un vaso

giallo di crisantemi

da deporre

sopra una zolla

che nasconde un’urna.

 

E tutt’attorno

a centinaia m’invade

un paesaggio ancora colorato

di crisantemi gialli

o rosseggianti

che sfilan mesti

tra file di cipressi verdeggianti.

 

E l’orme andate

pare ancor sentire,

sopra la ghiaia

che sembra sfrigolare,

e che riporta i passi ormai sepolti

dei nostri affetti

che stanno ad ascoltare.

 

E quei viali,

che accolgono le salme,

tanti rimpianti

e un mondo di dolore,

sol per un giorno

presentano un colore nuovo

di vita,

una passione antica che ritorna,

un voler bene

che nel cuore vibra.

 

E si riaffacciano

affetti ormai finiti,

rimpianti per una parola detta male,

per una carezza che non si è donata,

e sembra che dall’urna

giunga al cuore

un voce smorzata che ti dica:

“Sempre son mamma tua,

che Dio ti benedica”.

                    

                    

(Boccheggiano 29/10/2006 21,23)

 

 

 
Alberto Liguoro
 
I MORTI
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ombre

che viaggiate

lassù,

ogni emozione

diventa nulla,

ogni ora

è fallace

e noi

siamo perduti.

 

Ombre

che viaggiate

quaggiù

nelle nostre idee,

ricordi,

ed angosce,

guardate

i mostri

dentro di noi

che non ci abbandonano

e

aiutateci

a reggerne,

almeno,

il fardello.

 

Ombre

dei nostri sogni,

e dei nostri rimpianti,

illusioni,

desideri,

e rimorsi,

via…

lontano…

volate!

E’ giorno ormai,

da ricominciare.

 

Ombre

che viaggiate

dovunque,

in metropolitana,

nelle onde radio,

satelliti e scooter,

nel d.n.a.

e nelle menti degli uomini,

viaggiate in un limbo

senza futuro,

fateci dunque capire

qualcosa

della nostra fine;

perché

noi vivi

siamo già morti.

 

Nessun segno,

vento,

deserto…

E’ questo un segno?

I morti

danno speranza

ai vivi.

 

Via…

Svanite!

 

 
 
 

Giuseppina Bonsignore

 

Pensiero

 

Ritorna adesso più che mai questo pensiero della morte

e nel mio tempo che va verso la fine,

io non posso lamentarmi: ho avuto buona sorte.

Se nel sogno mio voi padre e madre, da quel confine

dove è vietato entrare, non m’apparite,

siete, però, sempre con me a placare

ogni dì, tutte quante le ferite.

Mi ritrovo spesso a pensare

a chi da poco o da tempo

è andato e quelle sembianze care

mi fanno compagnia, in un momento

quando di loro sento nostalgia. Amare

lacrime scorrono: lacrime che allora non versai.

Io prego, perché l’ultimo mio cammino lieve sia.

La storia umana è questa. Se hai fede solo mai sarai ,

non affannare il cuore adesso, segui la tua via.

   
 

Presenza

   
 

Del dì l’ultimo respiro

dopo la corsa della vita

nell’incedere verso la fine

il passo accompagnerà l’amore.

Nella luce senza più legami

voleranno le anime

splendenti nell’infinito

d’ignoto nome, di vie mai percorse,

di sentieri sconosciuti.

Stretta sarà la mano mia nella tua

o  la tua nella mia, per altre mete

in cammino e nello spazio senza confine,

ci sarai. Sarò presenza indispensabile,

sarai sottile aiuto, con l’energia speciale,

percezione di un percorso che dal terreno

andare, forse foriero di futuri presaghi,

allo sconosciuto, eterno, infinito Amore, condurrà!

 

 

 

Roma 22/09/2012 N 85
Partita a scacchi con la morte
 
 
DEI SEPOLCRI
Deorum manium iura sancta sunto
 

All'ombra de' cipressi e dentro l'urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove piú il Sole

per me alla terra non fecondi questa

bella d'erbe famiglia e d'animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l'ore future,

né da te, dolce amico, udrò piú il verso

e la mesta armonia che lo governa,

né piú nel cor mi parlerà lo spirto

delle vergini Muse e dell'amore,

unico spirto a mia vita raminga,

qual fia ristoro a' dí perduti un sasso

che distingua le mie dalle infinite

ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

tutte cose l'obblío nella sua notte;

e una forza operosa le affatica

di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe

e l'estreme sembianze e le reliquie

della terra e del ciel traveste il tempo.

      Ma perché pria del tempo a sé il mortale

invidierà l'illusïon che spento

pur lo sofferma al limitar di Dite?

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l'armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de' suoi? Celeste è questa

corrispondenza d'amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l'amico estinto

e l'estinto con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall'insultar de' nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

e di fiori odorata arbore amica

le ceneri di molli ombre consoli.

      Sol chi non lascia eredità d'affetti

poca gioia ha dell'urna; e se pur mira

dopo l'esequie, errar vede il suo spirto

fra 'l compianto de' templi acherontei,

o ricovrarsi sotto le grandi ale

del perdono d'lddio: ma la sua polve

lascia alle ortiche di deserta gleba

ove né donna innamorata preghi,

né passeggier solingo oda il sospiro

che dal tumulo a noi manda Natura.

     Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti

contende. E senza tomba giace il tuo

sacerdote, o Talia, che a te cantando

nel suo povero tetto educò un lauro

con lungo amore, e t'appendea corone;

e tu gli ornavi del tuo riso i canti

che il lombardo pungean Sardanapalo,

cui solo è dolce il muggito de' buoi

che dagli antri abdüani e dal Ticino

lo fan d'ozi beato e di vivande.

O bella Musa, ove sei tu? Non sento

spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,

fra queste piante ov'io siedo e sospiro

il mio tetto materno. E tu venivi

e sorridevi a lui sotto quel tiglio

ch'or con dimesse frondi va fremendo

perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio

cui già di calma era cortese e d'ombre.

Forse tu fra plebei tumuli guardi

vagolando, ove dorma il sacro capo

del tuo Parini? A lui non ombre pose

tra le sue mura la città, lasciva

d'evirati cantori allettatrice,

non pietra, non parola; e forse l'ossa

col mozzo capo gl'insanguina il ladro

che lasciò sul patibolo i delitti.

Senti raspar fra le macerie e i bronchi

la derelitta cagna ramingando

su le fosse e famelica ululando;

e uscir del teschio, ove fuggia la luna,

l'úpupa, e svolazzar su per le croci

sparse per la funerëa campagna

e l'immonda accusar col luttüoso

singulto i rai di che son pie le stelle

alle obblïate sepolture. Indarno

sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade

dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti

non sorge fiore, ove non sia d'umane

lodi onorato e d'amoroso pianto.     

      Dal dí che nozze e tribunali ed are

diero alle umane belve esser pietose

di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi

all'etere maligno ed alle fere

i miserandi avanzi che Natura

con veci eterne a sensi altri destina.

Testimonianza a' fasti eran le tombe,

ed are a' figli; e uscían quindi i responsi

de' domestici Lari, e fu temuto

su la polve degli avi il giuramento:

religïon che con diversi riti

le virtú patrie e la pietà congiunta

tradussero per lungo ordine d'anni.

Non sempre i sassi sepolcrali a' templi

fean pavimento; né agl'incensi avvolto

de' cadaveri il lezzo i supplicanti

contaminò; né le città fur meste

d'effigïati scheletri: le madri

balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono

nude le braccia su l'amato capo

del lor caro lattante onde nol desti

il gemer lungo di persona morta

chiedente la venal prece agli eredi

dal santuario. Ma cipressi e cedri

di puri effluvi i zefiri impregnando

perenne verde protendean su l'urne

per memoria perenne, e prezïosi

vasi accogliean le lagrime votive.

Rapían gli amici una favilla al Sole

a illuminar la sotterranea notte,

perché gli occhi dell'uom cercan morendo

il Sole; e tutti l'ultimo sospiro

mandano i petti alla fuggente luce.

Le fontane versando acque lustrali

amaranti educavano e vïole

su la funebre zolla; e chi sedea

a libar latte o a raccontar sue pene

ai cari estinti, una fragranza intorno

sentía qual d'aura de' beati Elisi.

Pietosa insania che fa cari gli orti

de' suburbani avelli alle britanne

vergini, dove le conduce amore

della perduta madre, ove clementi

pregaro i Geni del ritorno al prode

cne tronca fe' la trïonfata nave

del maggior pino, e si scavò la bara.

Ma ove dorme il furor d'inclite gesta

e sien ministri al vivere civile

l'opulenza e il tremore, inutil pompa

e inaugurate immagini dell'Orco

sorgon cippi e marmorei monumenti.

Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,

decoro e mente al bello italo regno,

nelle adulate reggie ha sepoltura

già vivo, e i stemmi unica laude. A noi

morte apparecchi riposato albergo,

ove una volta la fortuna cessi

dalle vendette, e l'amistà raccolga

non di tesori eredità, ma caldi

sensi e di liberal carme l'esempio.

     A egregie cose il forte animo accendono

l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta. Io quando il monumento

vidi ove posa il corpo di quel grande

che temprando lo scettro a' regnatori

gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela

di che lagrime grondi e di che sangue;

e l'arca di colui che nuovo Olimpo

alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide

sotto l'etereo padiglion rotarsi

piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,

onde all'Anglo che tanta ala vi stese

sgombrò primo le vie del firmamento:

- Te beata, gridai, per le felici

aure pregne di vita, e pe' lavacri

che da' suoi gioghi a te versa Apennino!

Lieta dell'aer tuo veste la Luna

di luce limpidissima i tuoi colli

per vendemmia festanti, e le convalli

popolate di case e d'oliveti

mille di fiori al ciel mandano incensi:

e tu prima, Firenze, udivi il carme

che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco,

e tu i cari parenti e l'idïoma

désti a quel dolce di Calliope labbro

che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

d'un velo candidissimo adornando,

rendea nel grembo a Venere Celeste;

ma piú beata che in un tempio accolte

serbi l'itale glorie, uniche forse

da che le mal vietate Alpi e l'alterna

onnipotenza delle umane sorti

armi e sostanze t' invadeano ed are

e patria e, tranne la memoria, tutto.

Che ove speme di gloria agli animosi

intelletti rifulga ed all'Italia,

quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi

venne spesso Vittorio ad ispirarsi.

Irato a' patrii Numi, errava muto

ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo

desïoso mirando; e poi che nullo

vivente aspetto gli molcea la cura,

qui posava l'austero; e avea sul volto

il pallor della morte e la speranza.

Con questi grandi abita eterno: e l'ossa

fremono amor di patria. Ah sí! da quella

religïosa pace un Nume parla:

e nutria contro a' Persi in Maratona

ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,

la virtú greca e l'ira. Il navigante

che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,

vedea per l'ampia oscurità scintille

balenar d'elmi e di cozzanti brandi,

fumar le pire igneo vapor, corrusche

d'armi ferree vedea larve guerriere

cercar la pugna; e all'orror de' notturni

silenzi si spandea lungo ne' campi

di falangi un tumulto e un suon di tube

e un incalzar di cavalli accorrenti

scalpitanti su gli elmi a' moribondi,

e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

     Felice te che il regno ampio de' venti,

Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!

E se il piloto ti drizzò l'antenna

oltre l'isole egèe, d'antichi fatti

certo udisti suonar dell'Ellesponto

i liti, e la marea mugghiar portando

alle prode retèe l'armi d'Achille

sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi

giusta di glorie dispensiera è morte;

né senno astuto né favor di regi

all'Itaco le spoglie ardue serbava,

ché alla poppa raminga le ritolse

l'onda incitata dagl'inferni Dei.

     E me che i tempi ed il desio d'onore

fan per diversa gente ir fuggitivo,

me ad evocar gli eroi chiamin le Muse

del mortale pensiero animatrici.

Siedon custodi de' sepolcri, e quando

il tempo con sue fredde ale vi spazza

fin le rovine, le Pimplèe fan lieti

di lor canto i deserti, e l'armonia

vince di mille secoli il silenzio.

Ed oggi nella Troade inseminata

eterno splende a' peregrini un loco,

eterno per la Ninfa a cui fu sposo

Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,

onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta

talami e il regno della giulia gente.

Però che quando Elettra udí la Parca

che lei dalle vitali aure del giorno

chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove

mandò il voto supremo: - E se, diceva,

a te fur care le mie chiome e il viso

e le dolci vigilie, e non mi assente

premio miglior la volontà de' fati,

la morta amica almen guarda dal cielo

onde d'Elettra tua resti la fama. -

Cosí orando moriva. E ne gemea

l'Olimpio: e l'immortal capo accennando

piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,

e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.

Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto

cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne

sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando

da' lor mariti l'imminente fato;

ivi Cassandra, allor che il Nume in petto

le fea parlar di Troia il dí mortale,

venne; e all'ombre cantò carme amoroso,

e guidava i nepoti, e l'amoroso

apprendeva lamento a' giovinetti.

E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo,

ove al Tidíde e di Läerte al figlio

pascerete i cavalli, a voi permetta

ritorno il cielo, invan la patria vostra

cercherete! Le mura, opra di Febo,

sotto le lor reliquie fumeranno.

Ma i Penati di Troia avranno stanza

in queste tombe; ché de' Numi è dono

servar nelle miserie altero nome.

E voi, palme e cipressi che le nuore

piantan di Priamo, e crescerete ahi presto

di vedovili lagrime innaffiati,

proteggete i miei padri: e chi la scure

asterrà pio dalle devote frondi

men si dorrà di consanguinei lutti,

e santamente toccherà l'altare.

Proteggete i miei padri. Un dí vedrete

mendico un cieco errar sotto le vostre

antichissime ombre, e brancolando

penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,

e interrogarle. Gemeranno gli antri

secreti, e tutta narrerà la tomba

Ilio raso due volte e due risorto

splendidamente su le mute vie

per far piú bello l'ultimo trofeo

ai fatati Pelídi. Il sacro vate,

placando quelle afflitte alme col canto,

i prenci argivi eternerà per quante

abbraccia terre il gran padre Oceàno.

E tu onore di pianti, Ettore, avrai,

ove fia santo e lagrimato il sangue

per la patria versato, e finché il Sole

risplenderà su le sciagure umane.

Le tombe non possono compensare l’uomo della perdita dei propri cari, ma perché privarci dell’illusione di poter avvertire la presenza dei defunti andando a visitare la loro tomba e di coltivarne il ricordo curandone il sepolcro? Solo colui che durante la vita non ha saputo nè dare nè ricevere riposa in una tomba spoglia. Ma ora un nuova legge (l’editto di Saint-Cloud) impone di allontanare le tombe dalla vista dei cari e impone che i buoni siamo sepolti allo stesso modo dei malvagi, mentre nella vita erano stati moralmente opposti. Il poeta Parini ad esempio giace in una fossa comune forse in compagnia di un ladro o di un assassino. Fin dalle origini delle civiltà il culto dei morti ha mostrato la "pietà umana", i sepolcri erano ritenuti sacri. Se nel Medioevo i morti venivano sepolti sotto i pavimenti delle chiese, poichè all’epoca si aveva una concezione macabra della morte, non sempre i cimiteri erano stati così; i cimiteri degli antichi erano luoghi profumati e spaziosi simili a quelli inglesi dove le fanciulle pregano per la madre defunta e anche per la sorte della loro patria impegnata in guerra (ad esempio pregavano Nelson quando era impegnato contro Napoleone). Ma nelle nazioni in decadenza, dove non ci sono grandi uomini, anche le tombe sono in decadenza, che senso ha infatti ricordare uomini che sono morti prima ancora di morire. Foscolo spera invece che la sua tomba serva d’ispirazione per gli altri. Le tombe dei grandi uomini, infatti, spingono i coraggiosi a compiere grandi opere. Quando Foscolo visitò la chiesa di Santa Croce fu colpito dalla fortuna di quella città, essa infatti non è solo bellissima per il suo paesaggio, non solo ha donato all’Italia la lingua letteraria nazionale con Dante e Petrarca, ma è soprattutto fortunata perché ospita le tombe delle massime glorie nazionale; Foscolo sostiene che questo è la sola cosa della quale è possibile vantarsi una volta persa la dignità nazionale. Da questo luogo deve partire il riscatto italiano, per questo motivo Alfieri andava proprio a Santa Croce ad ispirarsi e ad accrescere il suo amor di patria. Anche i Greci accrescevano il loro patriottismo visitando le tombe degli eroi, come ad esempio i soldati morti nella battaglia di Maratona. La morte riconosce in modo giusto i meriti degli uomini: questo è esemplificato dalla leggenda della tomba di Aiace che dopo morto ricevette le armi di Achille che gli erano state sottratte da Ulisse,  portategli della corrente del mare dato che era egli il più valoroso tra i Greci. Ma la poesia per Foscolo costituisce una testimonianza ancora più durevole delle tombe. Gli antichi re ed eroi di Troia erano tutti sepolti nel luogo dove sorgeva la tomba di Elettra, la ninfa amata da Giove che diede origine alla stirpe troiana. In quel luogo andavano a pregare le donne della città e anche la profetessa Cassandra, figlia di Priamo, quando Troia era sotto assedio. Sono sue le parole che concludono il Carme: quando i Greci distruggeranno Troia resteranno solo queste tombe e un giorno lontano tra queste tombe si aggirerà un poeta (Omero) che da queste tombe udirà il racconto della guerra e dei suoi eroi. La sua poesia renderà così eterno il ricordo dei greci vincitori ma tributerà anche il giusto onore agli sconfitti che hanno versato il loro sangue per la patria.

 
 

LA CONCEZIONE DELLA MORTE

 

La morte ha qualcosa di paradossale: pur essendo uno dei momenti più significativi nella vita di una persona, perché la conclude e perché intorno ad essa il pensiero ha elaborato riflessioni e rappresentazioni a non finire, non è traducibile in alcuna esperienza.

Ai fini di un'esperienza di vita è, in tal senso, molto più importante il dolore, anche perché di questo noi possiamo conservare un ricordo, che poi può servirci per sopportare meglio il dolore la volta successiva.

Il dolore ci fortifica, la morte ci distrugge o, se vogliamo, ci libera dal peso di un dolore insopportabile, vero o immaginario che sia, sempre che la morte sia per così dire "naturale" e non ci colga di sorpresa 

Noi possiamo avere esperienza solo della morte altrui, che ci addolora in misura proporzionale ai sentimenti provati per quella persona in vita.

Il motivo per cui non riusciamo ad accettare la morte è dovuto al fatto che per istinto rifiutiamo l'idea che ci venga a mancare una persona amata. Altri motivi sono più astratti: ci chiediamo p.es. che senso abbia la morte di un bambino o la morte di un adulto che dalla vita non ha ottenuto che dolori.

Ma una vita che abbia condotto un'esistenza normale, di regola avverte la morte come un fenomeno naturale, che pone fine a una vita che si sta logorando. E' proprio la consapevolezza di veder deperire fisicamente il corpo che induce a vedere la morte come una soluzione liberatoria.

Anzi, si potrebbe dire che si avverte la fine come prossima quando la vita in generale, il suo trascorrere nel tempo, le forme in cui essa si manifesta non risultano più idonee a proseguirla e vengono in sostanza percepite, o meglio, sentite, come un peso insopportabile.

Il corpo è un involucro soggetto a decomporsi: quando si comincia ad avere consapevolezza di questo, si comincia anche a desiderare di vivere una nuova condizione. Questo processo evolutivo può essere tranquillamente applicato alla storia di tutte le civiltà.

E' proprio il concetto di tempo, la percezione del suo trascorrere, che ci mette in condizioni di comprendere se determinate forme di esistenza possono essere considerate irreversibilmente superate o no.

Non c'è modo di stabilire a priori, se non in maniera molto vaga e astratta, quando avverrà la transizione da una forma di vita a un'altra. Il problema vero infatti non è tanto quello di sapere il momento esatto, quanto piuttosto quello di attrezzarsi per affrontare quel momento in maniera adeguata.

Bisogna cioè fare in modo che il processo avvenga nella maniera più naturale possibile, nel rispetto dei tempi che ci sono dati di vivere: le transizioni sono sempre dolorose, poiché costituiscono una rottura col passato e l'ingresso in una condizione d'esistenza del tutto nuova, in cui inizialmente ci si muove come principianti.

Diciamo che, in generale, quanto più si è capaci di agire in maniera responsabile, accollandosi le fatiche della transizione, tanto meno drammatico sarà il suo esito. Si tratta di compiere un lavoro personale e collettivo, poiché l'essere soggetti a una parabola evolutiva è un destino comune a ogni essere umano e a ogni civiltà.

Qualunque anticipazione arbitraria della nostra fine o della fine di una civiltà è indice sicuro di alienazione. Chi fa della morte il significato della propria vita in realtà è già morto. Non si può attribuire alla morte un significato più grande di quello che si deve attribuire alla vita, appunto perché della morte noi non possiamo avere alcuna vera esperienza.

Le correnti di pensiero filosofiche e teologiche che preferiscono considerare l'attimo della morte più importante della prosaicità della vita quotidiana, generalmente vengono annoverate nel filone dell'irrazionalismo.

Le civiltà che smettono di credere nei valori umani concludono la loro esistenza nella maniera più tragica possibile: distruggendo altre civiltà e in sostanza autodistruggendosi.

 

L'IDEA DI MORTE

 

Se la morte di un essere umano fosse qualcosa di assolutamente sconvolgente, le sue conseguenze sarebbero irreparabili. Invece la vita continua. Questa stessa espressione generica "la vita continua" la intendiamo in riferimento a quella terrestre; in realtà dovremmo intenderla in riferimento alla vita in generale, quella, per intendersi, dell'universo, di cui la terra è parte e di cui, in fondo, gli esseri umani sanno ancora molto poco.

"La vita continua" è un'espressione metafisica, che va al di là dell'apparenza. La vita continua "per tutti" - così andrebbe interpretata. Cioè la vita è un concetto che include la morte e che caratterizza l'intero universo. La morte, dunque, è solo trasformazione.

La morte fa parte della vita, nel senso che ne è un aspetto fondamentale, imprescindibile. La morte dà addirittura significato alla vita, poiché una vita senza morte non sarebbe umana o terrestre, non apparterrebbe neppure all'universo.

Nell'universo infatti tutto ha un inizio e una fine. Combattere la morte o ritardarla artificialmente significa andare contro la vita, e quindi vivere nell'illusione, al di fuori della realtà. Voler vivere a tutti i costi è non meno innaturale che voler morire a tutti i costi. Voler vivere da eroi è non meno alienante che voler morire da martiri.

La vita e la morte sono aspetti naturali che andrebbero vissuti in maniera naturale, secondo le leggi della natura. E nella natura la morte, in realtà, non esiste se non come forma di passaggio. La morte è l'anticamera di una nuova vita. Tutto è trasformazione. Vita e morte fanno parte di un immane processo di trasformazione, di cui noi non vediamo né l'inizio né la fine.

La consapevolezza di questo dovrebbe portarci a relativizzare le questioni personali, i limiti soggettivi. Ognuno di noi fa parte di una specie particolare e al tempo stesso universale: il genere umano.

Ciò che conta in realtà non è né la vita né la morte, ma la dignità dell'essere umano, l'essenza della sua umanità. Vita e morte coincidono quando è in gioco la difesa del valore del senso di umanità. Aver paura della morte, quando è in gioco questo valore, significa non saperlo vivere con coerenza, sino in fondo 

L'unica cosa di cui bisogna aver paura è proprio questa incapacità a essere naturali, a vivere con naturalezza la propria umanità.

Tra vita e morte, dal punto di vista fisico, non c'è alcuna differenza: la morte non è che la modalità del passaggio da una forma di vita a un'altra 

Essere attaccati a una forma di vita in modo da precludersi l'interesse per l'altra forma è segno di follia. Come d'altra parte il contrario. Disprezzare questa forma terrena di vita in nome di una forma che ancora non si può vivere, è segno d'immaturità.

Tutelare il diritto alla vita al punto da negare quello alla morte è indice di visione ideologica delle cose. La vita di per sé non è un valore, ma solo una condizione in cui il valore può essere vissuto. Non si può tutelare una forma a prescindere dal suo contenuto, altrimenti si rischia di fare della forma un contenuto fine a se stesso.

Se la vita, come forma, fosse un contenuto, la morte potrebbe anche essere considerata come un contenuto equivalente, anzi alternativo. Vivere o morire sarebbero la stessa cosa, poiché entrambe potrebbero pretendere un'assolutezza esclusiva.

Invece, se c'è una forma che non può avere alcun contenuto, questa è proprio la morte. La morte è una forma destinata a rimanere priva di contenuto, una condizione in cui il valore non può essere vissuto in alcun modo. L'unico valore che la morte possiede è quello che noi le attribuiamo in rapporto alla vita.

Una qualunque religione che predichi un paradiso nell'aldilà e che quindi ponga una netta demarcazione tra vita e morte, è inevitabilmente contraria all'idea di perenne trasformazione. In ultima istanza è una religione che odia la vita in quanto ama solo una possibilità di vita completamente diversa.

Religioni di questo genere finiscono nell'alienazione mentale o restano comunque una forma di filosofia rassegnata. Spesso, per evitare queste forme di alienazione, si finisce col credere che l'unica vita possibile sia quella - carica di contraddizioni antagonistiche - che si vive sulla terra e che la morte (da evitare se non da odiare con tutte le forze) costituisca la fine di tutto. L'alienazione del cattolicesimo si è trasformata, nel protestantesimo, in cinismo.

Preso da Homolaicus