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Vito Mauro
 
Signori, dame e cavalieri, si cunta e si raccunta un bellissimo cuntu
 
 

C’era una volta e c’è ancora oggi, grazie alle foto di Eduardo Paladino...

Grazie alle foto del libro si evince come Paladino voglia raccontarci un cuntu che richiami alla nostra memoria i ricordi dei tempi passati.

In particolare, ci racconta un cuntu fotografico, che narra di vite vissute e di storie dimenticate ma che, a parere di chi scrive, sono da non dimenticare.

Ci presenta e restituisce un universo ormai desueto, con le sue rappresentazioni visive del piccolo mondo antico ciminnese. E usa le foto per raccontare storie, per spiegare quello che le parole, a volte, non possono raccontare, a memoria per il futuro, inteso che con la fotografia anche le assenze diventano presenze e le esistenze s’incrociano, perché uno dei più evidenti e gravi difetti della società italiana, e quindi di tutto ciò che – dalla cultura al costume – ne è parte, sta nella mancanza di memoria. (Leonardo Sciascia).

Dalle fotografie pubblicate possono partire tanti racconti...

Ordinando le foto che per oltre un trentennio Paladino ha puntigliosamente raccolto, s’intende non solo ricordare il passato ma anche mostrare quale era il modo di fare dei nostri nonni, con l’eloquenza delle immagini e con trasparente verità.

Noi che viviamo nell’era della fretta, per comprendere appieno le foto di Paladino dobbiamo calarci nella realtà di quel tempo, in cui tutto si svolgeva fluidamente e i mutamenti di usanze e mode avvenivano molto lentamente.

Le immagini in bianco e nero diventano un’occasione per tenere con mano il passato e scavare nei ricordi. E in questo le foto ci aiutano, come le tessere di uno splendido mosaico.

Possiamo conoscere come si viveva, come si lavorava, come si giocava, come ci si vestiva in passato, arricchendo in tal modo le nostre conoscenze.

Molte foto testimoniano un periodo che sicuramente risveglierà nei più anziani piacevoli ricordi e offrirà ai giovani emozioni e gradevoli frammenti di umanità del passato.

A una certa età si vive di ricordi e gli anziani raffrontando la vita odierna con quella del tempo passato ringiovaniscono con il grato ricordo del tempo che fu. Il bello di queste memorie fotografiche è che ci regalano momenti non di consolazione ma di compiacimento, perché sono immagini che, guardate da vicino, ci dicono tutto quello che sanno, ci conquistano, ci trattengono come calamite in una posizione di riflessione e ci rallentano perché, c’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblìo. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo. …il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblìo.

(Milan Kundera, La lentezza).

Foto che cominciano a essere ingiallite dal tempo, ricche di memoria, che congelano gli istanti in una quasi eternità, che fermano il tempo in una raccolta in cui sfilano i volti di chi, sorpreso o complice, ci regala un frammento della sua storia e della sua vita.

La memoria è incorruttibile come la verità e allora la memoria è grande testimone di verità? Oppure come si chiedeva Leonardo Sciascia: del resto che cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità di un momento che contraddice altre verità di altri momenti? Perché le foto sono come la vita che trascorre, come le parole che appena dette diventano passato e,

pertanto, sono da ricordare, perché già siamo l’oblìo che saremo. (Jorge Luis Borges).

La raccolta non è solo un percorso fotografico per rievocare; ciò che vi è rappresentato ha sicuramente lasciato il segno e da essa c’è tanto da apprendere; parafrasando Brecht si può dire: “Dietro di noi le fatiche del passato, davanti di noi le fatiche del futuro”.

Un album di semplicità, una scorpacciata di fotografie, brevi intervalli di vita ordinaria, di scatti quotidiani, di istantanee di vita, di azioni in libertà ed emozioni in posa, una coscienza fotografica che induce a guardare e a riflettere, che rende unico ogni evento che passa davanti all’obiettivo, conservando il fascino dell’irripetibile, in un viaggio nella

memoria del tempo.

Tutti possediamo un album di ricordi più o meno ordinato, con le fotografie dei momenti felici, delle vacanze, dei matrimoni, dei giorni di festa, di un momento personale da immortalare, di occasioni che non si ripeteranno più. Sono foto che, a differenza dei ricordi visivi, non impallidiscono, non si sfuocano e non sono soggetti a varie interpretazioni.

Con questa raccolta è stata effettuata una selezione di immagini “educate”, controllate, capace di offrire percorsi sorprendenti e inaspettati.

Si scopre la concretezza sin dalle prime immagini, non c’è apparenza, non c’è leggerezza ma preziosi ritratti che racchiudono una bellezza, anche nella semplicità della posa.

Sfogliando l’album ci si accorge che per diverse foto l’equivalente reale è scomparso. Per ritrovarne le tracce, non si può far altro che sfogliare le pagine e, in un attimo, ci si ritrova di fronte ad una selezione di memorie che ripercorrono l’esperienza umana concreta, con i volti eloquenti raffigurati.

Quando osserviamo le foto, ricordiamo un momento particolare, un odore, un suono, un gesto, magari legato a una persona ritratta, e ciò spesso ci consente di ricostruire la nostra storia personale.

La fotografia è un flash che immortala non un momento qualsiasi, ma un attimo della vita importante e unico.

Eduardo il tempo di scattare una foto lo trova sempre e lo trova perché ha da dire qualcosa e lo dice con le sue fotografie. Eduardo non è un fotografo... che corre fra i personaggi... li implora di disporsi in ordine ai loro posti una buona volta, mette tutti i presenti in semicerchio, in piedi quelli alti, inginocchiati invece, metterà i più bassi, donne e bambini, riducendo gli spazi fra l’uno e l’altro, accostando teste, passando due o tre volte fra le file aggiustando con un tocco lieve qua e là un colletto, un orlo di camicia, una piega nelle maniche, il nastro di una treccia, indietreggiando dalla macchina che svetta sul suo treppiede... chiude un occhio, conta sino a tre ad alta voce, preme finalmente il pulsante. (Amos Oz, La vita fa rima con la morte).

Scattare fotografie per lui è un piacere personale e, non essendo un lavoro, si sente libero di farlo come vuole, osservando, esplorando ciò che sta intorno.

In uno scatto c’è ciò che attira la sua attenzione e dagli scatti viene fuori un diario visivo in cui cerca di rubare per l’eternità un momento che non vuole che si perda. Può essere un momento di festa, un lavoro o un gioco. Come appunti di viaggio che un viaggiatore curioso e interessato traccia nel suo album, per ricordare luoghi o situazioni che lo hanno colpito e che con un rapido flash ha fermato.

Ritratti che rivelano la sua grande passione per le persone comuni, delle quali riesce sempre a rivelare gli aspetti più autentici.

I fotografi professionisti fanno molte foto e poi ne scelgono una. Eduardo scatta una foto ed è quella giusta, immortala la vita… (Wim Wenders, Palermo Shooting).

Il sogno di ogni fotografo è di trovarsi nel luogo giusto al momento giusto. In questo caso è il fotografo a far diventare quel momento giusto e ogni fotografia è una precisa fetta di tempo, un momento privilegiato, trasformato in un piccolo oggetto che possiamo conservare e rivedere. Per sempre…

Queste foto non prenderanno polvere, perché ogni foto “contiene” una vita.

Sfogliando il patrimonio fotografico di Eduardo non si può non rimanere affascinati dalla magia del bianconero e pervasi da un pizzico di nostalgia per quei tempi, per l’atmosfera di allora. Le foto del libro raccontano e ricordano ... se ci rendiamo conto del fatto che la memoria, per funzionare bene, ha bisogno di un allenamento incessante: i ricordi, se non vengono evocati di continuo nelle conversazioni fra amici, fuggono via... Più la nostalgia è forte, più si svuota di ricordi... perché la nostalgia non intensifica l’attività della memoria, non risveglia ricordi, basta a se stessa, alla propria emozione, assorbita com’è dalla sofferenza. (Milan Kundera, L’ignoranza).

Vidi per la prima volta le foto di Eduardo fuori dal mio paese.

Restai sorpreso!

Come non rimanere colpiti e non cogliere l’impegno, la passione, la determinazione di Eduardo e come non afferrare le atmosfere di ieri.

Anche Giuseppe Tornatore, regista e premio Oscar, in occasione di una mostra fotografica di Eduardo Paladino presso il ristorante “Rocca Bianca” di Marineo, ha avuto modo di apprezzare le foto ora raccolte in questo libro.

Probabilmente è stata la visione di tali fotografie che ha condotto il noto regista a Ciminna e qui, rimanendo affascinato dalla linearità della chiesa di San Vito che dalla collina protegge il nostro paese, ha maturato la felice idea di inserire la chiesetta

nel suo ultimo capolavoro cinematografico Baarìa.

Nell’insieme sono immagini che, pur mute, raccontano una storia.

Istanti di anni fa, in bianco e nero, da godere ancora.

La fotografia ci concede l’emozione di un tuffo all’indietro.

Quanti avvenimenti persi nel tempo sono ora ricostruiti grazie alle foto!

Le foto sono un ritorno all’infanzia e diventano il diario, il documento di una vita, stimolano la memoria di un tempo trascorso e per sempre scomparso, spesso estraneo a noi stessi.

Ci consentono di recuperare la nostra storia, non scritta, così come essa si è svolta, aiutandoci a conoscere il passato per comprendere il presente e costruire il futuro.

Perché sicuramente c’è un legame stretto tra quello che eravamo e quello che siamo; e se ciò è vero, come è vero, ripensare alle nostre radici non è una leziosità, ma la consapevole presa d’atto che chi non sa da dove proviene, rischia di non chiedersi neppure dove sta andando. Sono foto che contrastano “drammaticamente” con la realtà di oggi e con la modernizzazione, a volte forzata.

È un bene che ci sia Eduardo che, di tanto in tanto, ci prenda per mano e ci riporti alle nostre origini, per unire passato e futuro.

Le sue foto diventano mezzi narrativi, una fonte di ricordi.

Dentro una foto c’è un pezzo di realtà da raccontare. Sono tante microstorie, pagine che illustrano, raccontano come testimoni di un periodo. C’è un filo conduttore che unisce questo cammino. Questo filo si chiama tradizione.

Riannodiamo questo filo del passato e del presente per proiettarlo in un futuro.

Il volume è suddiviso in sette sezioni fotografiche, corredate ognuna di una parte narrativa.

Il “racconto” di Paladino inizia con le immagini dei festeggiamenti del SS. Crocifisso. Si tratta di rappresentazioni e funzioni religiose che hanno la loro genesi in tempi lontani e che, resistendo al culto della modernità, si ripetono tutt’oggi.

Ciò in quanto, riferisce Don Vincenzo Catalano, c’è un’immensa devozione della cittadinanza ciminnese per il SS. Crocifisso.

Continua con una sezione dedicata alle donne che svolgono le loro faccende domestiche.

Nei nostri paesini le donne trovano sempre qualcosa da fare, mentre l’uomo ha più tempo libero. Sono ritratte, ad esempio, le massaie che facevano il pane in casa.

Oggi possiamo dire che c’era una volta... il pane fatto in casa, nel senso che con il cambiamento delle condizioni di vita è mutato il modo usuale di vivere e agire e si è persa pian piano anche l’abitudine alla lavorazione dell’ottimo pane di casa.

C’erano una volta anche le donne al telaio che, con il loro paziente lavoro, preparavano il corredo, senza il quale difficilmente avrebbero avuto l’opportunità di “accasarsi”. Con la maestria delle proprie mani, la donna diventava protagonista del suo destino davanti all’intera comunità.

Sono immagini semplici ma profonde, vere e proprie riflessioni, legate alla banalità del quotidiano.

Nel libro ritroviamo scatti d’eccezionale realismo, immagini di vita quotidiana che effigiano gente serena e felice.

Sono scene riprese dal palcoscenico della quotidianità e la loro forza sta nella disarmante semplicità, perché, come ci ricorda Edgar Allan Poe: Nulla è più invisibile di ciò che sta in bella evidenza sotto i nostri occhi.

Si tratta di foto che eternano un momento e rendono indelebile il passato, dando valore all’istante e sottolineando la mutevolezza delle cose.

E nonostante il tempo sia trascorso, possiamo ammirarle e considerarle come espressioni ideali dei più nobili sentimenti di una comunità che ha lottato per il miglioramento della qualità delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

Guardare le foto di Paladino è come vedere un film interpretato da personaggi semplici, ognuno con la propria storia da raccontare, un film specificatamente dedicato al nostro territorio.

Nel libro troviamo molte fotografie che ritraggono gli uomini che svolgono le loro tradizionali attività agricole, silvo-pastorali e artigianali.

Nel vederle ci rammentiamo del fatto che, in una terra lontana dalla cultura dell’industria, detti lavoratori hanno rappresentato le forze più autentiche dell’economia del paese.

Queste foto sono un omaggio a quei faticosi mestieri ed esprimono la vitalità e la fisicità del rapporto tra l’uomo ed il lavoro, allorquando tutto si faceva a mano.

Nel passato, il paesaggio agrario si animava in modo diverso nelle varie stagioni dell’anno.

Era normale al tramonto incontrare file di uomini a cavallo dei loro muli che tornavano in paese, percorrendo tragitti, più o meno lunghi, in quella stessa strada che prima dell’alba del giorno successivo avrebbero ripercorso in senso inverso, perché prima si lavorava dall’alba al tramonto, ri suli in suli.

Oggi raramente si riesce a vedere dei muli, eppure erano animali molto utilizzati nel mondo agricolo siciliano.

La nostra società vive una specie di oblìo, un eterno presente, dove il passato non ha alcun valore. Si può ignorare, tacere o addirittura provare vergogna per ciò che è stato, per la miseria, per le case dove si viveva, per il lavoro agricolo, per l’analfabetismo, per le ristrettezze economiche e sociali del tempo. Bisogna …considerare che non è possibile rendere l’accaduto non accaduto. (Epicuro, Sentenze Vaticane).

Ma, nonostante le umili condizioni di vita, il passato è stato grandioso per tanti e diversi aspetti!

Adesso il paesaggio rurale è certamente meno popolato.

Spesso un uomo solo con diversi mezzi agricoli fa in un giorno quello che una volta facevano tante persone in molte giornate di lavoro.

Non esistono più i mulini ad acqua, che pure in certe contrade dovevano essere parte integrante dell’ambiente ed è scomparsa, altresì, da tempo, la raccolta del summacco, che doveva essere una pianta di notevole importanza economica per il reddito che assicurava.

Scorrendo attentamente le pagine del libro quasi sentiamo la ruvidezza del lavoro e gli odori dei luoghi. Foto con volti onesti, facce espressive di un’agricoltura senza additivi.

(Ermanno Olmi).

L’economia contadina era basata sulla produzione familiare che traeva direttamente dalla natura tutto quanto potesse occorrere in termini di cibo, vestiario e oggetti vari.

In tutte le case c’erano infatti scorte di frumento, a giarra ri l’ogghiu e u carrateddu ru vinu.

Si lavorava con spirito di solidarietà, per essere utili gli uni agli altri, con stima e attenzione reciproche, si era più partecipativi alle manifestazioni e alle cerimonie sia familiari (fidanzamenti, matrimoni, battesimi, cresime, in cui si svolgeva ‘u sonu a parti casa e si ballava), che sociali-religiose del proprio paese.

La ricchezza e la miseria non si sfidavano ma convivevano ciascuno nel proprio ambito.

Personalmente conservo tanti ricordi.

Sono ricordi indeboliti che tuttavia sollecitano in me profonde riflessioni.

Anche i proverbi della civiltà contadina, frutto della saggezza popolare, ci portano a meditare, perché esprimono verità tutt’oggi valide … perché il popolo ha fede cieca nei proverbi..., specie quando si presentava con caratteri, per così dire, sacrali, soprattutto in un’epoca in cui l’istruzione era poco diffusa e la formazione morale e spirituale delle masse era in gran parte affidata agli insegnamenti contenuti appunto nelle brevi e argute sentenze proverbiali, che riuscivano poi tanto più efficaci quanto più erano ricche di figurazioni. (Francesco Brancato, Storia e folklore negli scritti di Vito Graziano).

Fino a una trentina di anni fa, la principale fonte di reddito per la popolazione era rappresentata dall’attività agricola-pastorale. E il possesso di bestiame consisteva nel capitale di una famiglia.

Le giornate di lavoro dei pastori erano scandite da tipici passaggi.

La mattina presto si mungeva, si faceva il formaggio e poi si portavano le pecore al pascolo. La sera si rientrava, si mungeva e si faceva altro formaggio.

Un appuntamento con scadenza annuale era rappresentato dalla tosatura delle pecore, seguita dalla marchiatura e preceduta dal lavaggio del bestiame.

La “lavatura” delle pecore si eseguiva per pulire il vello prima della tosatura, poiché la lana, così trattata, in gergo saltata, poteva essere venduta ad un prezzo superiore.

Portati sulla riva del fiume, gli animali venivano spinti nell’acqua uno dopo l’altro attraverso un passaggio obbligato, uscendo poi dall’altra sponda per asciugarsi; mentre in passato al pastore conveniva effettuare il lavaggio delle pecore prima della tosatura.

Oggi, a causa della scarsa quotazione sul mercato della lana nazionale, quest’uso è definitivamente scomparso, in quanto non porta all’allevatore alcun vantaggio economico.

Anche il comune di Ciminna, come in generale i comuni dell’interno dell’isola, non è riuscito, neppure nel secondo dopoguerra, a sviluppare e a far fiorire alcuna attività industriale che valesse a migliorare la tradizionale fisionomia economica e sociale.

Anch’esso ha risentito certamente dell’influenza soprattutto dei nuovi mezzi di comunicazione e, in primo luogo, della televisione che ha certamente agito sulla generale mentalità delle nuove generazioni, stimolandone in qualche modo la ricerca di ciò che più e meglio potesse in qualche modo appagarne le esigenze. Appunto in conseguenza anche del mancato appagamento di tali nuove esigenze si è determinato il grande influsso migratorio... (Francesco Brancato, Argenteria sacra di Ciminna dal cinquecento all’ottocento di Giuseppe Cusmano).

Le immagini sui mestieri sono degne di essere conservate nei nostri ricordi.

Le competenze degli artigiani erano anche progettuali, u’ mastru d’ascia faceva pale, bastoni per zappe, porte e tavoli, u’ scarparu realizzava scarpe su misura, tipo i scarpuna chi taccia, u’ firraru faceva marchi per bestiame, falci, zappe, lunette per ingressi, che mettevano in risalto il gusto estetico dell’artigiano.

Tutti gli artigiani avevano ragazzi pi ‘nsignarisi i quali “rubando con gli occhi” l’arte del mastru diventavano prima un valido aiuto per l’artigiano e poi eseguivano autonomamente i lavori appresi.

Le foto di Paladino ci fanno dunque ricordare che con il loro lavoro faticoso i nostri padri hanno contribuito ad arricchire l’economia del nostro territorio.

I protagonisti di questa raccolta non sono individui anonimi, ma persone “vive”. Molti tra essi non sono fisicamente viventi ma, attraverso le foto che li ritraggono, continuano a esistere nel ricordo di chi li ha conosciuti.

È un intero periodo che qui viene rappresentato e ognuno può riconoscersi o ritrovare porzioni di vita che gli appartengono.

In tal modo il presente dialoga con il passato e ristabilisce quella continuità che salva la memoria storica e l’identità culturale.

Ogni lavoratore è doverosamente valorizzato, perché portatore di una funzione sociale che si manifesta nel proprio lavoro svolto con orgoglio, attenzione e responsabilità.

I lavori si umanizzano, si personalizzano e si identificano con uomini in carne ed ossa che fuoriescono, grazie alla fotografia, dall’oscuramento dell’oblìo, acquistando una nuova e diversa luce sotto i riflettori della pubblicazione. L’aver trasformato tutti in protagonisti ci conferma nella convinzione che la storia siamo noi, attenzione: nessuno si senta escluso.

(Francesco De Gregori).

La raccolta fotografica si chiude con una sezione dedicata ai giochi di un tempo.

Guardando tali foto si ha l’impressione di sentire ancora le voci dei bambini che s’inseguivano, correndo da una via all’altra, fanno durare l’infanzia per l’eternità, senza mai stancarci.

La strada era il parco giochi della nostra fanciullezza.

I giochi hanno occupato gran parte del nostro tempo e ci hanno insegnato molte virtù quali la lealtà, la competitività, il rispetto delle regole, il saper accettare la sconfitta, seppur con dispiacere, il rispetto per l’avversario e la stima in noi stessi.

A pensarci bene, la serenità che si creava giocando ha contribuito a rinsaldare i rapporti tra noi ragazzi, rapporti che si conservano ancora oggi, nonostante il tempo trascorso.

Quando capita di rivedersi, simpatie, ricordi, amicizie rifioriscono immediatamente.

I giochi che facevamo erano economici, salutari; noi ragazzi eravamo padroni delle strade.

Allora i giochi ce li inventavamo noi perché non avevamo giocattoli, o ne avevamo pochi, e la tv non era presente come oggi.

Parole come play-station, barbie, puzzles e simili non appartenevano al nostro vocabolario.

Esistevano invece giochi come e ligna che consisteva nel giocare con due pezzi di legno, di cui uno più grande, che serviva per misurare la distanza dalla stacca, e l’altro più piccolo, per essere sbattuto in aria. Il gioco finiva quando si arrivava al punteggio finale prestabilito.

Se il legno piccolo mentre veniva lanciato in aria riusciva ad essere afferrato dalle mani di chi stava fora, allora il fortunato trasiva rintra ed aveva il privilegio di effettuare lui il lancio. Lo stesso succedeva quando chi stava fora, prendeva il legno da dove era caduto e lo gettava contro l’altro che si trovava vicino ad una pietra, posta nel punto da cui era stato lanciato, sempre entro il perimetro segnato dalla stacca.

Il vincitore aveva il diritto di essere portato a cavaddu, da un posto ad un altro.

In genere si giocava in tanti e in grandi spazi, su qualsiasi tipo di terreno e si disputavano partite accanite. Il tipo di gioco determinava un enorme chiasso e a volte si marinava la scuola per andare a giocare e ligna, impegnando in tal modo intere giornate.

Non ho più visto giocare e ligna da oltre quaranta anni.

Si giocava inoltre “a calcio” con un pallone o con qualcosa che gli assomigliava, fissando regole improvvisate e con la porta segnata da due sassi.

Al tramonto le mamme chiamavano a gran voce i figli, minacciandoli di raccontare ai papà che avevano giocato tutto il giorno.

Le ragazze a loro volta giocavano a “palla al muro”, tirando la palla contro il muro e riprendendola in mano, ogni volta in una maniera diversa.

Queste fotografie cercheranno di portarci indietro nel tempo quando, ancora bambini, giocavamo con oggetti semplici i quali però ci facevano divertire molto.

Paladino è un fotografo con la sensibilità di un narratore, un romanziere dell’immagine senza ipocrisia né artificio, che imprime la sua pratica come messaggio, come un grido di allarme sociale.

Nell’epilogo ricorda, attraverso testimonianze, tutto ciò che non ha potuto fotografare; racconta una vita di stenti, di sacrifici che molto spesso ha avuto come via d’uscita la fuga, con le valigie di cartone in mano, verso Paesi come l’America, il Belgio, la Germania, l’Inghilterra e la Svizzera; evidenzia, inoltre, come le rimesse degli emigrati siano state successivamente strumenti di sviluppo e di crescita nel paese d’origine.

Storie assolutamente vere, fatti raccolti con curiosità, da un mondo che sembra tanto lontano eppure è solo il nostro ieri, dove tutti noi ritroviamo qualcosa che ci appartiene o che ci è familiare, e che i giovani conoscono poco e gli adulti tendono a dimenticare.

Grazie alle foto, ogni persona ha la facoltà di richiamare alla memoria le esperienze e le conoscenze del passato. I ricordi individuali però non avrebbero alcun significato senza la loro integrazione nella memoria collettiva. È quindi la memoria che crea la comunità, è la memoria che crea la cultura ed è la cultura che crea la società.

Giacché hanno la memoria anche le bestie e gli uccelli, altrimenti non ritornerebbero alle tane e ai nidi, né a molte altre cose alle quali son assuefatti: né, d’altronde, potrebbero assuefarsi a nulla se non avessero la memoria. (Agostino, Confessioni).

Abbiamo dunque il dovere di ricordare, perché ogni traccia, ogni segno lasciato dall’uomo ricorda il cammino del singolo e di conseguenza di tutti. L’oblìo e l’ignoranza del passato, infatti, spezzano quella catena tra generazioni che permette di comprendere la storia di ieri per meglio conoscere l’oggi.

Raccontare, scrivere, fotografare, togliere le foto dai cassetti vuol dire rileggere le storie di quelle persone che hanno vissuto prima di noi. Alcune sono lontane nel tempo, forse non le riconosciamo neanche, ma ci sorprendiamo nel vedere nei loro occhi le nostre stesse emozioni, le nostre speranze e le nostre paure.

Sfogliare il libro come un vecchio album crea l’emozione “archeologica”.

Eduardo non apprezza solo il passato, ma sta attento anche al presente, perché ama ciò che ha e lo dimostra spesso, incitando i giovani a non dimenticare il passato e ad apprezzare il presente.

L’autore evidenzia che la vivacità intellettuale della comunità ciminnese si manifesta attraverso l’attività di gruppi e associazioni locali, formate da volontari che mettono a disposizione il proprio tempo e la propria attitudine per gli altri, in maniera spontanea e gratuita …le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone, mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada. (Italo Calvino, Il barone rampante).

Nella nostra comunità esiste un buon numero di donatori “abituali” e fra questi molti giovani i quali, spesso, sono considerati edonisti e superficiali ma, in verità, sono portatori di un mondo interiore ricchissimo, in cui il confine tra donare e ricevere svanisce.

Paladino elenca le associazioni per esprimere quanto siano importanti, poiché favoriscono un mutamento lento ma significativo rispetto a un atteggiamento di passività.

Dette associazioni conferiscono al territorio una rivitalizzazione, un rafforzamento del sentimento di appartenenza e implicano un coinvolgimento generale.

L’autore, nell’elencare le varie associazioni attive nel territorio, non dimentica la celebre banda musicale, notoriamente apprezzata per i notevoli livelli artistici raggiunti, che ha sempre propagandato nel territorio il nome del paese di provenienza.

Eduardo apprezza molto il proprio lavoro, e forse per una strana coincidenza, in uno dei  nostri primi incontri, abbiamo parlato del libro dell’ingegner Salvatore Amoroso, dal titolo Il trasporto pubblico a Palermo.

Si tratta di un volume allestito dall’Azienda Municipalizzata Autotrasporti nel 1986, per ricordare i vent’anni dalla municipalizzazione e consiste, guarda caso, in un corredo iconografico contenente una sequenza ragionata di immagini fotografiche.

La raccolta termina con le foto del Il Gattopardo.

Eduardo con dette foto vuole lanciarci dei messaggi, degli stimoli e ricordarci che…c’era una volta… Claudia Cardinale a Ciminna!

Del Il Gattopardo a Ciminna non è rimasto quasi niente; permangono solo le immagini e i ricordi del palazzo ricostruito per realizzare le scene del film e le foto delle scene girate nella piazza Matrice e nella piazza Fontanella.

Il regista Luchino Visconti è stato conquistato dal paesaggio ciminnese e dalla sontuosa Chiesa Madre che dall’alto della collina domina tutto il paese. (Salvatore Ingraffia).

La nostra comunità collaborò alla realizzazione del film non solo come teatro della rappresentazione con le sue bellezze naturali e artistiche, ma anche con alcuni dei suoi abitanti, che furono coinvolti come attori, ma i cui nomi purtroppo non furono citati nei titoli di coda.

Per questa ragione le foto costituiscono fonte viva di richiamo per quanti custodiscono in sé quel ricordo e quell’emozione.

E ciò che fa “bella” una foto è anche quello che non si vede immediatamente, ma che viene fuori un attimo dopo.

Questa raccolta di fotografie è un microcosmo di storie, appunti di vita, che ha generato uno spunto di riflessione anche per una classe scolastica.

È interessante vedere come gli alunni abbiano interpretato le scene ritratte, cogliendo il messaggio implicito che l’autore vuole lanciare.

Le foto hanno incuriosito i ragazzi, perché li hanno aiutati a conoscere il mondo dei loro nonni e li hanno spinti a riflettere sul fatto che non solo le foto delle vacanze ma anche quelle dei fatti quotidiani, apparentemente banali, possono avere profondi significati.

Non molto tempo fa, nelle case, si conservavano le fotografie o i ritratti dei nonni... e i bambini imparavano a ricordare i nomi di coloro che li avevano preceduti. In casa si raccontavano le loro storie, i particolari della loro vita. (Francesco Alberoni, L’albero della vita).

Ho provato un piacere inatteso a curare questo libro e spero che il lettore avverta la stessa sensazione.

Ho avuto il compito, piacevole e gratificante, di illustrare in poche battute la raccolta che dà molto spazio all’oralità e che rappresenta una sorta di bussola per provare a orientarsi in un mondo ormai completamente dimenticato, tutt’al più confinato in qualche museo.

Insomma, una complessa valutazione delle cose deve indurci a una grande prudenza, alla sensazione di essere in pericolo ogni volta che perdiamo un frammento del passato,... la consapevolezza che la fortuna dei cittadini è nel difendere il passato e nel riuscire poi a valorizzarlo. (Vittorio Sgarbi).

Un aspetto del libro che colpisce è il continuo richiamo alla memoria storica, che poi significa identità e riscoperta delle radici di un territorio.

L’attenzione alla civiltà contadina, nei suoi rituali, nelle sue strutture materiali, nei suoi oggetti di uso quotidiano, risponde proprio a una forte richiesta di memoria, trasformando questa raccolta in un’occasione di riflessione che valorizza l’aspetto sia culturale sia umano.

Questo lavoro ricercato negli atti del quotidiano evidenzia, in maniera inequivocabile, l’importanza della fotografia come documento storico immediato, semplice e comprensibile, provocando emozioni, momenti di riflessioni, sicuramente non esaustivo ma da stimolo.

Da libro è diventato “un album…”, dove i ricordi, le sensazioni i momenti di ognuno diventano un patrimonio comune. Così alle fotografie è affidato il compito di testimonianza e di tener vivi i legami di memoria e i ricordi, non c’è storia senza memoria... la memoria trasforma in storia l’accadimento, dà forma a ciò che fluisce. La storia in quanto trasmissione scaturisce

evidentemente da un bisogno umano elementare di narrare quello che è stato, su ciò si fonda la cultura. La memoria plasma il nostro passato operando, anche inconsciamente, una scelta tra i valori da conservare; ma, nella misura in cui la memoria delle esperienze vissute concorre a determinare le possibilità di compiere ulteriori esperienze, contribuisce a configurare il nostro futuro. La comunità trae vita dalla sua memoria – tanto nella sfera religiosa che in quella culturale – e con la perdita di essa si disintegra. Anche la comunità attiva configura la proiezione del suo futuro sulla base del ricordo dell’esperienza storica di cui dispone. (Fiedrich Ohly).

Il libro è stato pensato e curato per soddisfare il bisogno di raccontare, quasi a scopo di liberazione interiore, un dovere di memoria nei confronti di tutte quelle persone che ancora si emozionano quando si parla del tempo andato.

Come chi sente il bisogno di dire qualcosa e trova la tranquillità solo dopo averla detta.

Da ultimo, non resta che sottolineare la dimensione corale di questo lavoro e quanto le immagini dei percorsi fotografici presentate siano suggestive e interessanti per ciò che testimoniano e per i messaggi sociali che ci trasmettono.

Da notare, inoltre, come gli scritti dei vari autori, puntuali e pertinenti, suscitino riflessioni di vita che fanno della raccolta un album da leggere.

Penso che l’album presentato costituisca un prezioso contributo per la nostra comunità e ritengo doveroso ringraziare l’autore, porgendogli i migliori auguri per altre interessanti ricerche che sicuramente ci proporrà in futuro.

Ringrazio inoltre gli amici che con i loro preziosi consigli hanno contribuito a completare l’opera.

Anche se Eduardo, non è un fotoreporter, fotografa, mettendo sulla stessa linea testa, occhio, cuore, (Henri Cartier-Bresson), ponendo insieme immagini e parole che evidenziano quanto l’uomo veda e viva, soffra e speri, lasci e gareggi, per un patrimonio da condividere.

Come nella vita…