Proverbi e Anonimi Latini |
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In camera
caritatis
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Nella camera della carità.... Locuzione latina usata spesso a
proposito di rimproveri, ammonizioni, avvertimenti dati in
segreto, amichevolmente e senza che altri lo sappia.
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Beati monoculi in terra coecorum -
Beati coloro che hanno un solo
occhio in una terra di ciechi
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Ignorantia
legis non excusat
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L'ignoranza della legge non
giustifica. - In altre parole, si è obbligati a rispettare la
legge anche quando non la si conosce.
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Illico et
immediate
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Sul luogo ed immediatamente - Locuzione usata talvolta, per lo
più in tono scherzoso, per imporre che un ordine sia eseguito
subito, senza por tempo in mezzo.
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In articulo
mortis
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In punto di morte...Benedizione,
assoluzione usata soprattutto nelle frasi assolvere, assoluzione
in articulo mortis che risalgono al Concilio tridentino, ma sono
sostituite, nel codice di diritto canonico, con la locuzione in
periculo mortis, usata anche per il matrimonio contratto in
extremis
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In cauda
venenum. -
Nella coda sta il veleno. -
Antico proverbio medievale (che si riferiva in origine allo
scorpione), usato comunemente in senso figurato per significare
che il momento finale di qualcosa è quello più difficile, che il
brutto viene da ultimo, o, più spesso, per indicare che la fine
di un discorso svela il carattere polemico prima dissimulato, o
contiene le parole che più direttamente vogliono colpire una
persona.
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In corpore vili.
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Su un corpo di poco valore.
- Locuzione usata, per lo più scherzosamente, a proposito di
esperienze arrischiate o che comunque possano riuscire dannose
per chi le subisce. La locuzione è la forma abbreviata della
frase faciamus experimentum in corpore vili, facciamo esperienza
(di un medicamento) su un corpo di poco valore. Nel '500, la
frase sarebbe stata pronunciata da alcuni medici italiani al
capezzale dell'umanista francese Marc-Antoine Muret (allora in
incognito in Italia sotto povere vesti), il quale spaventato si
alzò dal letto e fuggì, e fu tanta la gioia per lo scampato
pericolo, che si sentì subito guarito.
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In dubiis
abstine.
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Nei casi dubbi astieniti. -
Formula tradizionale con cui si raccomanda di non prendere mai
deliberazioni o formulare giudizi, quando non si sia
assolutamente certi di essere nel giusto o nel vero.
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In dubio pro
reo. -
Nel dubbio, a favore
dell'imputato. - Massima tradizionale che esprime il principio
giuridico per cui, mancando prove certe, è meglio assolvere un
colpevole che condannare un innocente. È un principio basilare
della nostra civiltà giuridica.
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In extremis. -
Nell'ultimo momento. - Locuzione che si usa soprattutto in
alcune frasi: essere in extremis, vicino a morire; pentirsi in
extremis, fare testamento in extremis, sposare in extramis,
matrimonio in extremis, espressioni del linguaggio comune per
indicare il matrimonio canonico celebrato in caso di imminente
pericolo di morte. In senso figurato: una nomina fatta in
extremis, da persona la cui autorità sta per scadere; un
provvedimento preso in extremis, poco prima della scadenza dei
termini.
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In fieri.
- In fase di formazione - Dicesi di cosa che
è in via di farsi, non ancora compiuta o addirittura ancora in fase
di ideazione o di progettazione: una costruzione, un'istituzione,
un'iniziativa in fieri.
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In hoc signo
vinces.
(Eusebio, Vita Costantini, I, 27, 31 e Hist. eccl., IX,
9). In questo segno vincerai. - Frase latina con cui viene
comunemente tradotto il motto grecoTouto níka che sarebbe
apparso in sogno, unitamente a una croce fiammeggiante, a
Costantino poco prima che dalla Gallia muovesse alla volta di
Roma contro Massenzio. Secondo Lattanzio, invece, Costantino
avrebbe avuto la visione in sogno alla vigilia della battaglia
decisiva di Ponte Milvio. La frase è talvolta ripetuta con
significato generico, e spesso scherzoso.
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In illo tempore.
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In quel tempo
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Frase che ritorna spesso in molti passi
evangelici: In illo tempore dixit Iesus, in quel tempo Gesù
disse. Si ripete scherzosamente per indicare tempi remoti.
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In itinere.
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In viaggio. - Locuzione usata nel linguaggio assicurativo con
riferimento all'infortunio riportato durante il percorso per
recarsi al lavoro.
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In media res.
(Orazio, Ars poet., 148) -
Nel mezzo dell'argomento
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Parole di Orazio riferentisi all'arte
narrativa di Omero che inizia il racconto a metà degli
avvenimenti, a differenza di altri poeti epici, che cominciano
ab ovo,
cioè dall'inizio. Nell'uso comune entrare in
medias res
significa entrare nel vivo dell'argomento, senza tanti
preamboli.
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In medio stat
virtus.
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La virtù sta nel mezzo
- Sentenza della
scolastica medievale che deriva da alcune frasi dell'Etica Nicomachea di Aristotele, esprimenti l'ideale greco della
misura, della moderazione, dell'equilibrio. E' talvolta ripetuta
per affermare la necessità o la convenienza della moderazione,
dell'equilibrio, o come invito a evitare gli eccessi.
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In memoriam. -
In memoria, a
ricordo. - Espressione che ricorre in iscrizioni sepolcrali o in
monumenti commemorativi. Si usa talvolta (anche nella forma in perpetuam memoriam, a ricordo perpetuo del fatto) sia in
contesti seri sia con tono scherzoso, a proposito di cose di
scarsa importanza.
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In mente Dei.
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Nella mente di Dio. - Espressione presente nella frase essere in
mente Dei, non esistere, non essere ancora nato: dieci anni fa
tu eri ancora in mente Dei. Nel linguaggio comune si usa per
indicare cosa, azione, avvenimento, che si sentono molto lontani
e non realizzabili se non a grande distanza di tempo, o che non
sono, almeno per ora, che un pio desiderio.
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In nuce.
In una noce. - Locuzione latina con probabile riferimento a
Plinio il Vecchio, che parla di un esemplare dell'Iliade di
dimensioni così piccole, da poter essere contenuto in una noce.
Si usa oggi per indicare concetti, teorie espressi in forma
sintetica, o anche a fenomeno che è ancora allo stato
embrionale.
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In partibus infidelium.
Nelle regioni
degl'infedeli. - Espressione usata in passato, anche nella forma
abbreviata in partibus, per indicare i vescovi (oggi detti
vescovi titolari), le cui diocesi, puramente onorifiche, si
trovavano in paesi occupati dai Turchi, gli infedeli per
eccellenza.
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In pectore.
In petto. -
Nel linguaggio ecclesiastico, locuzione con cui è indicata una
forma speciale di nomina a cardinale che il papa annuncia nel
concistoro, riservandosi di farne in seguito il nome. Per
estensione, si dice pure di persona che è stata investita di una
carica in modo non ancora ufficiale: il nuovo ministro in
pectore.
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Insalutato hospite.
Senza salutare
l'ospite. - Si usa soprattutto nella frase scherzosa andarsene,
partire insalutato hospite (o ospite), andarsene alla
chetichella, senza prender congedo, senza dir nulla a nessuno.
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Instrumentum
regni.
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Strumento di regno, di potere.
- L'espressione è soprattutto usata con riferimento all'azione
che lo stato svolge sul potere ecclesiastico o su istituzioni
religiose, considerandoli come mezzo per l'affermazione dei
propri fini temporanei.
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Intelligenti pauca. -
A un intelligente,
poche cose (bastano). - Frase proverbiale latina corrispondente
a quella italiana a buon intenditor poche parole e, come questa,
usata sia in senso proprio (chi è pronto a capire non ha bisogno
di tante spiegazioni), sia come avvertimento, ammonizione o
minaccia.
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Interim.
- Frattanto. -
Nell'uso odierno, il tempo che intercorre fra il momento in cui
un soggetto cessa dall'esercizio di determinate funzioni e il
momento in cui avviene l'assunzione delle funzioni stesse da
parte di un nuovo titolare. Ministro ad interim è quello che
assume provvisoriamente un dicastero rimasto vacante e compie
gli atti urgenti e di ordinaria amministrazione.
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Inter nos. -
Fra di noi. - Locuzione latina
cautelativa, che si premette a una confidenza che si fa a
qualcuno, a quattrocchi, ma che deve restare segreta: mi
raccomando, che resti inter nos!
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Inter pocula. (Virgilio, Georg., II, 383).
- Tra i bicchieri. - Parole di Virgilio usate talora
scherzosamente tra discorsi, motti, verità che si dicono
bevendo, e stando in allegra comitiva.
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In utroque iure. -
Nell'uno e nell'altro
diritto. - Parte della formula usata un tempo nel conferire la
laurea in diritto civile e canonico; oggi usata scherzosamente,
e in forma abbreviata (in utroque), con riferimento a laureati
in legge.
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In verba magistri
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(Orazio, Ep., I, I, 14)
- Nelle parole del maestro - Credere o giurare nell'autorità del
maestro, senza ch'egli adduca documenti o prove di quel che dice
o scrive. Atteggiamento tipico dei seguaci di Aristotele e degli
scolastici medievali, che respingevano ogni teoria che fosse in
contrasto con la filosofia del maestro.
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In vino veritas
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Nel vino la verità -
Proverbio latino medievale, spesso citato in varie forme da
parecchi autori. Già Alceo, poeta greco (sec. VII-VI a.C.),
aveva detto "vino è verità". Sul vino e sulla verità non va
dimenticata la vasta letteratura dei canti goliardici, in
particolare dei Carmina Burana.
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Ipse dixit.
L'ha detto lui. - Frase latina
con cui ci si richiama all'autorità indiscussa di qualcuno.
Cicerone (De natura deorum I, 5, 10), parlando dei pitagorici
dice che nelle loro discussioni erano soliti rispondere ipse
dixit, in cui quell'ipse si riferiva a Pitagora. Nel medioevo, i
filosofi scolastici intendevano per "maestro" Aristotele. Oggi
la locuzione ipse dixit è usata per deridere i presuntuosi che
emettono sentenze o coloro che si sottomettono, senza discutere,
all'autorità.
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Ipso facto.
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Sul fatto stesso. - Locuzione avverbiale latina, usata anche in
contesti italiani, e talora nel linguaggio parlato, per
esprimere urgenza o immediatezza: dovette ubbidire ipso facto;
fu licenziato ipso facto dal lavoro.
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Ipso iure.
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Per il diritto stesso. - Locuzione usata in diritto per indicare
che determinati effetti giuridici seguono direttamente a una
norma di legge quando se ne siano verificati i presupposti di
fatto, senza che sia necessaria nessun altra attività da parte
di alcun soggetto.
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Ite missa est. -Andate, la messa è finita.
- Formula latina accolta (in questa forma) nella nuova liturgia,
e seguita dalle parole andate in pace. Viene usata talvolta in
forma scherzosa per indicare compimento, conclusione, fine:
essere all'ite missa est.
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Iter
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Viaggio - Nel linguaggio parlamentare indica il passaggio di un
disegno di legge attraverso l'esame di commissioni prima della
sua approvazione. Nel linguaggio burocratico riguarda la serie
di passaggi, di procedure, di formalità che una pratica deve
seguire prima che venga espletata.
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Ius primae noctis
- Diritto della prima
notte. - Presunto diritto, secondo il quale il feudatario
pretendeva che le donne del feudo, che andavano spose,
trascorressero con lui la prima notte di nozze. Sulla veridicità
di tale diritto si hanno notizie confuse, pare tuttavia che
venisse esercitato il più delle volte simbolicamente, con un
bacio sulla guancia della sposa.
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Mater
sempre certa est, pater nunquam
- La madre
è sempre sicura, il padre mai
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Gutta cavat
lapidem - La goccia scava la pietra ( Vale come esortazione
pedagogica per ricordare che con una ferrea volontà si possono
conseguire obiettivi altrimenti impossibili.) La sentenza era un
proverbio diffuso e citato da autori di età classica, è
documentato infatti in poesia da Lucrezio (De rerum natura, I
314 e IV 1281), da Ovidio (Epistulae ex Ponto, IV, 10 e Ars
amandi I, 476) e Albio Tibullo (Elegiae I, 4, 18).
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Excusatio
non petita, accusatio manifesta -
Una scusa non richiesta è
una palese auto accusa.
Excusatio
non petita, accusatio manifesta è una locuzione latina di
origine medievale. La sua traduzione letterale è "Scusa non
richiesta, accusa manifesta", forma proverbiale in italiano
insieme all'equivalente "Chi si scusa si accusa".
Il senso di
questa locuzione è: se non hai niente di cui giustificarti, non
scusarti. Affannarsi a giustificare il proprio operato senza che
sia richiesto può infatti essere considerato un unico indizio
del fatto che si abbia qualcosa da nascondere, anche se si è
realmente innocenti.
Già San
Girolamo, nelle sue lettere (Epist. 4) avvertiva: dum excusare
credis, accusas ("mentre credi di scusarti, ti accusi").
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Ad impossibilia nemo tenetur
- Nessuno è
tenuto a fare cose impossibili
È un
precetto sorto già alle origini della civiltà giuridica di Roma
antica, quale parte del primo insieme di leggi minime nate per
regolare la convivenza civile.
Tale
massima fu ripresa nel Digesto (le Pandette) di Giustiniano.
Nel
linguaggio comune la locuzione è usata per giustificare la
mancata ottemperanza a un impegno assunto, dovuta a cause di
forza maggiore.
Tale
espressione è tuttora usata quale massima giuridica a
illustrazione sintetica del principio in base al quale, se il
contenuto di un'obbligazione diventa oggettivamente impossibile
da adempiere per la parte che la aveva assunta, l'obbligazione è
nulla per cosiddetta impossibilità oggettiva. Tale prescrizione
è ora normata nel diritto italiano dall'art. 1256 comma 1 del
codice civile e seguenti, secondo il quale "l'obbligazione si
estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la
prestazione diventa impossibile".
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Do ut des
- Do affinché
tu dia
Do ut des è
una frase latina dal significato letterale «io do affinché tu
dia» e senso traslato «scambiamoci queste cose in maniera ben
definita».
In un certo
senso si può parlare di un "contratto" che viene siglato con
l'accettazione dell'offerta da parte del secondo attore, che si
impegna pertanto a consegnare quanto pattuito. Nel diritto
privato i contratti di scambio sono appunto indicati come do ut
des, in contrapposizione ad esempio a quelli do ut facias in cui
il pagamento è a fronte di un'opera. Si noti la differenza con
manus manum lavat, dove la contrattualità è assente.
La frase è
ancora oggi usata anche nel discorso comune, in genere per
indicare la propria volontà di fare qualcosa solamente per un
tornaconto diretto oppure per stigmatizzare uno scambio avvenuto
tra due terze parti.
Verba
volant, scripta manent
- Le parole volano via, gli scritti
rimangono
La
locuzione latina Verba volant, scripta manent, tradotta
letteralmente, significa le parole volano, gli scritti
rimangono.
Questo
antico proverbio, che trae origine da un discorso di Caio Tito
al senato romano, insinua la prudenza nello scrivere, perché, se
le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono sempre
formare documenti incontrovertibili. D'altro canto, se si vuole
stabilire un accordo, è meglio mettere nero su bianco e quindi
agendo con i fatti, piuttosto che ricorrere ad accordi verbali
facilmente contestabili.
Tuttavia è
da notare che tale proverbio aveva in origine una valenza del
tutto opposta. In un'epoca in cui i più erano analfabeti, stava
a indicare che le parole viaggiano, volano di bocca in bocca, e
permettono che il loro messaggio continui a circolare (si veda
la voce Parole alate), mentre gli scritti restano, fissi e
immobili, a impolverarsi senza diffondere il loro contenuto
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Omnia munda mundis
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Tutte le cose sono pure per coloro che sono puri
Omnia munda mundis è un celebre motto latino, di forte sapore
antimoralistico e religioso al tempo stesso. Tradotto
letteralmente significa "tutto è puro per i puri" (s'intende,
"per chi è puro di cuore e d'animo"), o anche "all'anima pura,
tutte le cose (appaiono) pure". Lo stesso concetto è espresso
dall'analogo motto Omnia immunda immundis: "tutto è impuro per
gli impuri".
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Mors
omnia solvit
- La morte scioglie ogni cosa
La
locuzione latina Mors omnia solvit, tradotta letteralmente,
significa la morte scioglie tutto.
Nella
legislazione romana solo la morte concludeva il matrimonio.
Successivamente la sentenza è passata ad essere applicata ad
ogni altro tipo di controversia o impegno contrattuale.
Banalmente,
citando questa frase si vuole indicare che la morte mette fine a
tutto.
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Non ite
mittere margaritas ante porcos
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Non mettete perle davanti
ai porci
La locuzione latina margaritas ante porcos
(lett. perle ai porci) è tratta dal Vangelo secondo Matteo (7,
6).
La frase s'inserisce in un lungo elenco di raccomandazioni ed
esortazioni che Cristo fa ai suoi discepoli dopo il celebre
discorso della montagna. A loro dice: "Nolite dare sanctum
canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte
conculcent eas pedibus suis, et conversi dirumpant vos", ossia:
"Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle
ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino"
L'invito è quello di non sprecare
le cose di valore, materiali o no, dandole a chi non è in grado
di apprezzarle.
Questo loghion apparteneva in
origine a quella fazione giudaizzante (evolutasi negli ebioniti)
che nella proto-comunità cristiana considerava il messaggio
evangelico come riservato ai soli ebrei, di nascita o per
conversione. Nel linguaggio politico del I secolo, infatti,
"cani" e "porci" sono i pagani, entrambi gli animali essendo
considerati come particolarmente impuri dalla tradizione
giudaica. Ovviamente, l'invito a non dare ciò che è sacro (le
perle della Torah) ai pagani impuri, che non saprebbero cosa
farne e si limiterebbero a insudiciarlo, ha una forte valenza
polemica, ed è palesemente in netto contrasto con le tesi della
fazione "paolina", cioè quella che avrebbe rapidamente prevalso
dopo la distruzione del Tempio (70 d.C.).
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Talis
pater, talis filius
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Tale padre, tale figlio
Si ripete quest'antico proverbio a
significare (più spesso, ma non necessariamente, con riferimento
a qualità non buone) che il carattere e le tendenze d'ognuno
derivano per via ereditaria dal padre, o dagli antenati in
genere; oppure per rilevare l'importanza, nel bene e nel male,
dell'esempio paterno; o infine, più semplicemente, per
affermare, sovente in tono scherzoso, una qualunque somiglianza
tra un certo padre e un certo figlio.
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Mala tempora currunt -
Tempi cattivi attraversiamo
"Mala Tempora currunt sed peiora
parantur”: “Attraversiamo brutti tempi ma se ne preparano di
peggiori". È una delle frasi di Marco Tullio Cicerone, vissuto
fra il 106 e il 43 a.C. che fu Senatore, Filosofo, Scrittore e
Politico dell'antica Roma. Ma specialmente un Oratore
straordinario e come tale un fustigatore dei costumi del suo
tempo
che seppe rappresentare la forza
del Diritto su quello della prepotenza e una visione politica in
cui le Leggi dello Stato dovevano garantire i Diritti dei
singoli. Il suo spirito "laico" lo portava all'analisi della
"natura umana" che resta ancora oggi simile nei travagli della
Storia e che fa parte dei richiami con cui si scagliava contro
gli abusi del "Potere".
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Mens sana
in corpore sano -
Mente sana
in un corpo sano
La satira decima di Giovenale è
tutta volta a mostrare la vanità dei valori o dei beni (come
ricchezza, fama e onore) che gli uomini cercano con ogni mezzo
di ottenere. Solo il sapiente vero si rende conto che tutto ciò
è effimero e talvolta anche dannoso.
Nell'intenzione del poeta, l'uomo
dovrebbe aspirare a due beni soltanto: la sanità dell'anima e la
salute del corpo; queste dovrebbero essere le uniche richieste
da rivolgere alla divinità che, sottolinea il poeta, sa di cosa
l'uomo ha bisogno più dell'uomo stesso.
Nell'uso moderno si attribuisce invece alla frase un senso
diverso, intendendo che, per aver sane le facoltà dell'anima,
bisogna aver sane anche quelle del corpo in virtù dell'unità
psicofisica.
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Risus
abundat in ore stultorum - Il riso abbonda sulla bocca
degli stolti
Risus abundat in ore stultorum è
una locuzione latina che letteralmente significa "Il riso
abbonda sulla bocca degli stolti", spiegando che ridere
eccessivamente è fuori luogo e sinonimo di stupidità. Ma è anche
la considerazione del fatto che persone poco argute sono inclini
a ridere spesso, anche per motivi futili, mentre una persona
assennata è normalmente più seria.
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Fortuna iuvat audaces
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La fortuna aiuta gli audaci
Il detto invita a essere volitivi
e coraggiosi davanti a qualsiasi tipo di evento, anche il più
terribile e imprevisto, poiché la sorte - il "fato" - è dalla
parte di coloro che osano e sanno prendere gli opportuni rischi.
Questa locuzione, assurta a dignità di vero e proprio proverbio,
è molto diffusa nella cultura popolare di ogni tempo. A essa è
in qualche modo riconducibile il motto dannunziano Memento
audere semper.
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Spes ultima dea -
La speranza è l'ultima dea
Spes ultima dea ‹... ultima ...›
(lat. «la Speranza ultima dea»). – Frase latina spesso usata per
significare che la speranza non viene mai meno o che si può
sperare fino all’ultimo, con riferimento al mito greco della dea
Speranza che resta tra gli uomini, a consolarli, anche quando
tutti gli altri dèi abbandonano la terra per l’Olimpo. Cfr. il
detto popolare la speranza è l’ultima a morire.
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Ob torto collo
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Costretto (col collo torto)
Obtorto collo letteralmente con il collo
storto è una locuzione latina in uso nel linguaggio comune per
indicare l'accettazione, contro la propria volontà, di
imposizioni esterne. Si può tradurre con "malvolentieri" o
"perché costretto" o "giocoforza"
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Semel in
anno licet insanire -
Una follia all'anno è
lecita
La locuzione latina Semel in anno
licet insanire, tradotta letteralmente, significa una volta
all'anno è lecito impazzire ("uscire da sé stessi").
Il concetto fu espresso, con
leggere varianti, da vari autori: Seneca,
Sant'Agostino (Tolerabile est semel anno insanire, De Civitate
Dei, VI.10), ecc. Orazio la fece propria nella sostanza
cambiandone la forma: "Dulce est desipere in loco" (è cosa dolce
ammattire a tempo opportuno). L'espressione nella forma "semel
in anno licet insanire" divenne proverbiale nel Medioevo.
Questa locuzione è legata ad una
sorta di rito collettivo che ricorre in molte culture,
soprattutto occidentali. In un ben definito periodo di ogni anno
tutti sono autorizzati a non rispettare le convenzioni religiose
e sociali, a comportarsi quasi come se fossero altre persone.
Questa tradizione è spesso legata alla celebrazione del
carnevale.
Si tratta di un rito liberatorio
che permette ad una comunità di prepararsi in modo gioioso
all'adempimento dei propri normali doveri sociali.
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Ab amico
reconciliato cave!
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Guardati
da chi ti è amico dopo una riconciliazione!
"Guardati dall'amico
riconciliato". Un'amicizia riconciliata è come una grossa ferita
non ancora rimarginata: basta poco per riaprirla e richiede
molto tempo per cicatrizzarsi.
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Alter ego -
Un altro me stesso
L'espressione alter ego (dal
latino, "altro io") indica un sostituto di una persona che ha la
possibilità di prendere decisioni per conto di quest'ultima
Un alter ego è dotato di un
complesso di prerogative e poteri che discendono da una carica
superiore e che gli sono conferiti attraverso un istituto
giuridico di affidamento: si parla in questi casi di
luogotenenza. L'istituto, che conta molti esempi in passato,
poteva prevedere anche l'affidamento parziale o totale dei
poteri del monarca in capo a una persona di fiducia: tali poteri
erano in genere da esercitarsi su un territorio circoscritto
(alter ego del re). Se i poteri potevano essere esercitati
sull'intero regno si parlava di luogotenenza del regno.
In letteratura si usa il termine
alter ego per qualificare un personaggio di un'opera che è
psicologicamente analogo all'autore e le cui azioni o pensieri
rappresentano quelli dell'autore stesso. A volte con lo stesso
termine si qualifica anche il migliore amico di un altro
personaggio, spesso del protagonista.
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Amici
mores noveris,
non oderis
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Cerca di comprendere e non di odiare i costumi dell'amico
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Amicitia
quae desinere potest vera numquam fuit (San Girolamo)
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L'amicizia che è potuta finire non è mai stata vera
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Amico inimicoque bonum semper praebe consilium, quia amicus
accepit, inimicus spernit
(Quinto Ennio) -
All'amico e al nemico dà sempre buoni
consigli, perchè l'amico li accetta il nemico li rifiuta
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Amicus certus in re incerta cernitur
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L'amico sicuro si vede quando la situazione è malsicura
È una frase
latina del poeta Ennio (fr. 210 Vahlen), proveniente dalla sua
Hecuba a noi non pervenuta. Viene citata da Cicerone nel De
amicitia (17, 64).
Nella
massima, di tono proverbiale e sentenzioso, si notino gli
effetti sonori prodotti dall'allitterazione e dalla paronomasia,
ricercati giochi fonici caratteristici della prosa enniana.
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Amicus diu quaeritur, vix invenitur, difficile servatur -
L'amico si cerca a lungo, si trova a fatica, si conserva
difficilmente.
È una
frase di San Girolamo
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Sallustio
(di dubbia attribuzione) - Homo quisque faber ipse fortunae suae -
Ogni uomo è artefice della propria fortuna |
Virgilio
- Audentes fortuna iuvat - il destino favorisce chi osa |
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Sant’Agostino
- Errare humanvm est, perseverare autem diabolicvm
"commettere
errori è umano, ma perseverare (nell'errore) è diabolico"
Anche
detto:
Cicerone
(Filippiche, XII. 5) - Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi
insipientis
"È cosa comune
l'errare; è solo dell'ignorante perseverare nell'errore"
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Livio
(Storie, VIII.35): Venia dignus est humanus error
"Ogni errore
umano merita perdono"
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Sant'Agostino
d'Ippona nei suoi Sermones (164, 14):
Humanum fuit
errare, diabolicum est per animositatem in errore manere
"Cadere
nell'errore è stato proprio dell'uomo, ma è diabolico insistere
nell'errore per superbia"
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Terenzio
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Communia esse amicorum inter se omnia
Gli amici hanno
tutto in comune
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Cum quo aliquis iungitur talis erit -
Sarà simile a colui con cui sta
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Siracide,
Antico Testamento -
Qui invenit illum amicum invenit
thesaurum. Chi trova un amico trova un tesoro.
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Ennio -
Amicus certus in re incerta cernitur. Il vero amico si riconosce
nei momenti difficili.
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Publilio
Siro - Amicum an nomen habeas, aperit calamitas. Se tu abbia un
amico, o solo il nome di esso, te lo diranno le sventure.
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Anonimo -
Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di nessuno.
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Catone
- Amicum secreto admone, palam lauda. Ammonisci l’amico in
segreto e lodalo in pubblico.
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Marco Tullio
Cicerone - Solem e mundo tollere videntur qui amicitiam e vita
tollunt. Sembra che vogliano togliere il sole dal mondo, coloro
che tolgono l’amicizia dalla vita.
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Catone -
Amicum secreto admone, palam lauda. Ammonisci l’amico in
segreto e lodalo in pubblico.
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Aristotele -
Unus amicorum animus. L’amicizia è un’anima sola in due corpi.
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La nostra vita
cos'è?
È ciò che noi
vogliamo che sia! questo è il mio motto.
Non sempre
siamo determinanti e le nostre scelte, a volte, vengono
ridimensionate dalla fortuna avversa.
Tocca a noi
però decidere se quella fortuna avversa deve distruggere per sempre
la nostra vita o deve insegnarci, davanti alle difficoltà
insuperabili, a trovare altre vie facendo tesoro degli insegnamenti
acquisiti...
Buongiorno
amiche/ci Santino Gattuso |
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Incipit -
Incomincia
La voce verbale
latina incipit (l'accento è sulla prima ì; dal verbo incipere,
"incominciare") è la parola iniziale della formula latina che
introduce - talvolta anche con il nome dell'autore - il titolo di
un'opera; in filologia e bibliografia con l'incipit si fa
riferimento alle prime parole con cui inizia realmente un testo.
Se nella
terminologia canonica, la voce incipit definisce propriamente la
parola o la frase iniziale di un qualsiasi componimento, l'uso che
viene fatto nell'attuale critica letteraria moderna è più esteso.
Non solo dunque la prima parola o la prima frase ma l'intera tranche
d'avvio che può essere di lunghezza diversa.
L'incipit è, come
dice Traversetti, "l'esplosione semantica che genera e avvia il
cosmo romanzesco e ci consente di individuarne i caratteri, di
intuire panorami e sviluppi futuri" e questo "avviene non appena
leggiamo le prime dieci o venti righe".
Nel leggere
infatti la prima pagina noi non veniamo a conoscenza, ovviamente, di
tutto il romanzo, ma ci creiamo dei percorsi mentali lungo i quali
orienteremo la nostra lettura.
Sia la retorica
classica che la moderna teoria della letteratura sanno che se uno
scrittore vuole essere accolto deve sapere influenzare a proprio
vantaggio la disposizione del pubblico e che il pubblico, per poter
accogliere lo scrittore e quindi quanto scrive, ha bisogno di
riscontrare una vasta comunanza di topoi emozionali ed ideologici.
Baudelaire diceva che tra il
romanziere e i suoi lettori ci deve essere
complicità e che
questa complicità doveva essere subito attivata prima ancora che
iniziasse la vera lettura. |
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